27 Ott «Il no alla strada per Sandro Pertini è segno che Lucca è ormai il laboratorio nero della Toscana»
La decisione di non intitolare uno spazio al presidente della Repubblica «perché partigiano» è solo l’ultima dimostrazione della deriva del capoluogo. Governato dalla Destra, con un assessore che viene da CasaPound. E già al centro di scelte fortemente simboliche contro i diritti
Tratto da L'Espresso
Articolo di Simone Alliva
«Sta diventando una città nera» è la sintesi gentile di Daniele Bianucci, consigliere di opposizione a Lucca, eletto nella lista “Sinistra con”. Era sua la mozione respinta dalla maggioranza e che voleva intitolare una strada o una piazza all’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini. «Lo spettacolo che ha offerto la maggioranza in fondo non sorprende: è ordinaria amministrazione», spiega a L’Espresso. Ordinarie le urla dell’assessore e fondatore di Casapound Lucca, Fabio Barsanti, gli sghignazzi dell’altra assessora del gruppo Mia Pisano, le grida del motto fascista A noi! del capogruppo di FdI Lido Fava, le spiegazioni fuori dell’emiciclo «che no, a Lucca una strada ad uno che è stato partigiano non la si può proprio dedicare». E soprattutto il silenzio del sindaco, che assiste allo spettacolo, sorride e vota no. Nessuna strada al partigiano e Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985.
«Lucca è peggiorata. Ne fanno una questione identitaria. Hanno fatto lo stesso nel consiglio comunale per la Giornata della Memoria e del ricordo. Lucca prevedeva che per la concessione di beni comunali dovesse essere sottoposta alla firma di una “dichiarazione esplicita e formale di riconoscersi nei valori della Costituzione ripudiando qualsiasi tipo di odio”. L’hanno cancellata. Ci fanno una battaglia identitaria». È una questione di identità. Tutto riporta al nome di Barsanti, l’assessore allo sport, fondatore di Casapound nella cittadina toscana. Eletto non sotto le insegne di CasaPound (che pure, con l’8 per cento, segnò il record nazionale) ma con quelle di Difendere Lucca. Le braccia sempre coperte dalla camicia a maniche lunghe per non rivelare tatuaggi che richiamano al ventennio. Unico nome astenuto sulla proposta di cittadinanza a Liliana Segre. Può vantare di aver avuto un obbligo di dimora e un rinvio a giudizio nel 2017 per una rissa contro gli antagonisti a Lecce.
A lui si deve la vittoria sul filo dell’unico capoluogo che la coalizione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni è riuscito a scippare al centrosinistra. I 600 voti di scarto hanno garantito al candidato di sindaco Pardini di prendersi Lucca. “Il sindaco prete” come è stato battezzato domenica scorsa dopo che il prete di San Pietro a Vico lo ha invitato partecipare a una funzione finalizzata a mettere Lucca sotto la protezione della madonna. Ha officiato così la cerimonia di consacrazione della città “al cuore immacolato di Maria”. Una funzione religiosa che però ha avuto “il carattere di un atto pubblico”. La fascia tricolore sopra l’abito talare. Ignorate le richieste della chiesa valdese a tutela della laicità delle istituzioni. Ma Prandini non poteva dire no a don Giovanni Michelotti, giovane prete anti-bergogliano, molto vicino alle associazioni anti-lgbt, no-vax e pro-life tanto da ospitare dentro la sua parrocchie eventi come “Dittature del pensiero unico e Fede Cristiana”. Un convegno interpretato da molti come un coro all’omofobia e all’intolleranza presentato da Gianfranco Amato, presidente dei “Giuristi per la Vita”, che insieme ad altri gruppi simili agitano lo spettro del “gender” e già protagonista del “Congresso di Verona” del 2019.
L’11 ottobre il comune di Lucca ha inoltre deciso di non aderire alla Rete Ready, la Rete nazionale delle Pubbliche amministrazioni anti discriminazioni. «Dietro questa rete ci sono le organizzazioni lgbt e vengono proposti modelli di indottrinamento nelle scuole» si è giustificata l’assessora all’istruzione di Fratelli d’Italia, Simona Testaferrata. «È la spia di una situazione che sta degenerando – sospira Bianucci – Ormai Lucca è una piccola Verona. Laboratorio della destra in Toscana».
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