12 Apr I professori diventano le professoresse: l’assurdità del ‘femminile sovraesteso’
Tratto da Today, articolo di Yasmina Pani
Mentre in Germania il governo della Baviera vieta il linguaggio inclusivo (che contravviene alle regole del tedesco standard) nei documenti ufficiali e nell’ambito scolastico, in Italia l’Università di Trento inventa il “femminile sovraesteso” e decide di adottarlo ufficialmente. Dico inventa perché è una cosa che in italiano non esiste e non ha nessun senso: nessuno capirebbe che in una frase come “le prerogative della rettrice sono le seguenti”, la rettrice indica qualsiasi persona che ricopra la carica di rettore, ma penserebbe semmai che si riferisca alla singola donna che attualmente svolge quel ruolo. O ancora: se io dicessi “benvenute a tutte”, nessuno penserebbe mai che mi sto rivolgendo a una platea di uomini e donne. Al contrario, “benvenuti a tutti” non ha mai fatto sentire escluso nessuno, perché come parlanti italiani abbiamo sempre saputo che includeva ogni sesso. Almeno fino ad ora, che sembra essersi diffusa un’amnesia collettiva sulle regole base della nostra lingua madre.
Quello di Trento non è il primo ateneo a fare una scelta bizzarra in fatto di soluzioni linguistiche: ormai in molte città d’Italia gli iscritti all’università ricevono mail istituzionali che si aprono con “Car* student*”. Due anni fa fu addirittura il Ministero dell’Università e della Ricerca a produrre dei documenti in cui compariva lo schwa, cosa che indusse il linguista Massimo Arcangeli a lanciare una petizione in cui si chiedeva conto di tale scelta – firmata, tra gli altri, anche dalla sottoscritta.
La scelta del governo bavarese ha sollevato, prevedibilmente, non poche polemiche, tutte riassumibili nello stesso adagio: la lingua cambia man mano che cambia la società, e fermarla è impossibile. Questa convinzione viene ulteriormente rafforzata dalla veste etica di cui si ricopre il linguaggio inclusivo: non solo noi stiamo al passo coi tempi, ma siamo anche gli unici a rispettare la diversità e a volerla incarnare nella lingua! Gli altri, i parrucconi troppo affezionati alle regole grammaticali, sono solo dei reazionari.
La lingua dei documenti ufficiali e delle istituzioni deve essere quella standard
Pare che a nessuno – in Germania come qui da noi – venga il dubbio che la lingua dei documenti ufficiali e delle istituzioni possa dover sottostare a regole diverse da quelle che normano il comportamento linguistico quotidiano dei parlanti. Eppure è facile immaginare che se un domani un ateneo producesse dei comunicati contenenti espressioni volgari e di turpiloquio, tutti ne saremmo indignati. Le parolacce le diciamo tutti, ma non le vogliamo trovare negli atti dell’università.
Non si capisce perché gli esperimenti inclusivi dovrebbero essere diversi: sono di fatto violazioni della norma standard della lingua, che è necessario rispettare affinché ci siano la massima chiarezza e il massimo rigore. Nessuno vieta (né potrebbe farlo) all’attivista arcobaleno di usare l’asterisco sul suo profilo instagram; non vietiamo nemmeno di pubblicare libri scritti con lo schwa, poiché ogni editore è libero di adottare le soluzioni che preferisce.
Ma che a scuola si insegni agli studenti a scrivere in una lingua che non è l’italiano non può essere considerato accettabile; tanto quanto non è accettabile una sintassi sgangherata o un congiuntivo fuori posto.
Una tendenza dovuta all’ignoranza dei processi che governano la lingua
Questa tendenza attuale anti-sistema, che vede in qualsiasi ordine e regola il male assoluto, a cui inevitabilmente si devono attribuire intenti liberticidi e sentimenti fascisti, è ingenua e infantile – per essere generosi. Le regole sono necessarie: la società se ne dota per poter funzionare meglio. Non fa eccezione la lingua, che anzi, a rigore può dirsi tale proprio perché ha una varietà standard, illustre, adatta alle situazioni formali, a cui si affiancano altre varietà, adatte ad altri contesti.
Ma soprattutto è l’altra tendenza a doverci preoccupare: quella a fregarsene altamente di ciò che dicono le scienze e le discipline tecniche, per lasciar spazio al sentimento personale, all’emotività del singolo, dichiarando guerra alla razionalità. Qualsiasi linguista, infatti, vi dirà che il mutamento linguistico è sì inevitabile, ma non è direzionabile: non viene stabilito da qualcuno e attuato metodicamente finché non si diffonde. Nasce senza che i parlanti ne abbiano consapevolezza e procede in modo così lento da essere impercettibile, perché altrimenti la comunicazione non sarebbe possibile; ed è a questo che serve la lingua, non a rappresentare l’identità delle persone.
Non solo: non ci sarebbe in realtà bisogno di nessun mutamento, perché la lingua non è escludente o discriminatoria. Il genere grammaticale è solo una categoria morfologica, che non rispecchia in nessun modo la nostra mentalità: gli studi che hanno tentato di dimostrare questa correlazione, fino ad ora, si sono rivelati poco attendibili e hanno dato risultati contraddittori.
Come spiegato più volte anche dall’Accademia della Crusca, il fatto che noi usiamo il maschile come genere di default non ha niente a che vedere col sessismo: basti pensare che lo usiamo in qualsiasi tipo di frase, anche in quelle più negative, come “l’assassino è ancora ignoto” (diamo per scontato che a uccidere siano solo i maschi?) o “i cretini sono ovunque” (la cretinaggine non è forse ben distribuita tra tutti i generi?).
Ma oggi non ci piace ascoltare le verità razionali: non sono morbide né profumate, ma sono invece spigolose, urtanti, e poco instagrammabili. Ci piace convincerci di essere parte di una grande lotta per migliorare il mondo; certo, purché sia una lotta facile, che non ci impegni troppo, ma che ci garantisca di stare dalla parte degli inclusivi. A facilitare questa convinzione interviene una visione manichea del mondo, suddiviso rigidamente in buoni e cattivi, dove i buoni sono coloro che usano lo schwa, e i cattivi coloro che tentano di appellarsi al buonsenso e alla scienza. Cosa potrà mai andare storto?
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