02 Gen Fondi all’editoria e querele temerarie: un’unica strategia
Di Silvio Lavalle
Esternazione dopo esternazione, provvedimento dopo provvedimento, la fisionomia fascistoide del nostro governo emerge con crescente chiarezza. A questo proposito, e in doveroso subordine a questioni maggiori che monopolizzano l’attenzione dei media come, ad esempio, l’esclusione di Tony F dal concertone di Capodanno al Circo Massimo, segnalo due temi solo apparentemente distanti, ma in realtà strategicamente connessi.
Il primo è quello delle querele temerarie che membri del Governo (su tutti la presidente Meloni e il ministro Valditara, seguiti da Lollobrigida, Bignami, Fazzolari, Crosetto) o partiti di governo (e anche qui primeggia Fratelli d’Italia) usano per imbavagliare e intimidire intellettuali e giornalisti, il secondo è quello dei finanziamenti pubblici all’editoria.
I querelati sono tanti e le querele sono quasi sempre presentate in sede civile (data l’inconsistenza, in sede penale non arriverebbero neppure al dibattimento). In compenso la grande lentezza del nostro sistema giudiziario reca grandi vantaggi al querelante, che può tenere “sotto schiaffo” molto a lungo il giornalista o l’intellettuale di turno (Saviano, Mottola, Ranucci, Raimo, Canfora, Lagioia, Cavalli, Montanari, De Cesare, i più famosi).
Costoro, dagli schermi televisivi o dalle pagine dei giornali, hanno fatto accostamenti sgraditi, hanno criticato o ironizzato (ma Raimo il suo paragone tra Valditara e la Morte Nera non l’ha neppure fatto su un media, ma in un convegno politico). Ecco, soprattutto l’ironia: quella è la bestia nera (rossa?) degli attuali governanti, tanto tronfi quanto afflitti da un senso di inadeguatezza che sconfina nella sindrome dell’impostore.
Ed è a questi signori, ed in particolare alla commissione bilancio e alla subcommissione per l’editoria, che la Fieg, cioè l’associazione degli editori di giornali, ha chiesto di reintegrare, dopo l’annunciato taglio di 46 milioni di euro (annuncio astutamente ricattatorio), i finanziamenti pubblici per la stampa e la radiotelevisione, quelli che teoricamente dovrebbero sostenere la pluralità dell’informazione. Missione compiuta: è recentissima l’approvazione dell’emendamento alla legge di bilancio, presentato da Marco Grimaldi di AVS che introduce l’aumento da 20 milioni di euro a 50 milioni nel 2025 delle risorse per il Fondo per il pluralismo l’innovazione dell’informazione. Il fondo totale ammonterà anche per il 2025 a circa 500 MIO ai quali si aggiungono, dopo il rientro del taglio e l’aumento appena approvato, 145 MIO erogati direttamente dalla Presidenza del Consiglio.
Ecco dunque in azione, nel backstage delle redazioni radiotelevisive e dei giornali, il bastone e la carota. Il primo colpisce i personaggi sgraditi, la seconda tiene in vita assistenzialisticamente le aziende dai bilanci decotti da cui spesso essi dipendono direttamente o indirettamente per il proprio reddito. I fondi, in realtà, sono un micidiale guinzaglio dato che servono alla sopravvivenza delle aziende, non certo a garantire la pluralità dell’informazione o a investire in tecnologia, innovazione, qualità culturale e giornalistica.
Non è tutto. Probabilmente la carota del 2025 sarà dura quasi come il bastone. Dal ministero di Giorgetti è stata annunciata infatti l’intenzione di varare una norma che preveda obbligatoriamente l’ inserimento di un fiduciario del ministero nel consiglio d’amministrazione di ognuna delle aziende editoriali che riceverà fondi per un importo superiore alla soglia di 100.000 euro, cioè la grande maggioranza. Con buona pace della filosofia ultraliberista e antistatalista della compagine governativa e della sempre più incerta libertà dell’informazione.
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