13 Dic Chiesa, maschilismo e patriarcato. Non ci si può sempre fermare alla superficie.
Di Elisabetta Ribet, teologa valdese
“È così dunque che si crea un’unica storia: mostrate un popolo come una cosa sola, come un’unica cosa, svariate volte, ed ecco che quel popolo diventa quella cosa. È impossibile parlare di un’unica storia senza parlare di potere. … Il potere è la possibilità non solo di raccontare la storia di un’altra persona, ma di farla diventare la storia definitiva di quella persona”[1]. Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice di origini nigeriane, autrice tra l’altro del romanzo Americanah (2013) riflette in questi termini, da narratrice, su quello che definisce “il pericolo di un’unica storia”. In questo contesto l’autrice riflette su come sia facile, restringendo e limitando le narrazioni, trasformare l’altro in uno stereotipo, privarlo della diversità, della molteplicità di punti di vista diversi, a partire dai quali il ritratto che se ne fa non può che essere limitato, violentemente banalizzante.
La riflessione pubblicata recentemente su Domani a firma di Antonella Bellutti – “Lo sport funziona come la Chiesa: la faccia subdola del patriarcato”[2] – ha la grave pecca di esordire proprio raccontando un’unica storia, a proposito del cattolicesimo romano, associandone il funzionamento e le strutture a funzionamento e strutture del “sistema sport”.
Non essendo una sportiva praticante, e nemmeno una esperta di una qualunque disciplina, mi permetto di reagire da donna e da teologa – protestante, per di più: non so se esista un unico sistema sport, in Italia, in Europa o a livello planetario. Non mi pare, e mi auguro non sia così. Osservo come effettivamente, a seconda dei contesti, delle culture, soprattutto delle connessioni più o meno evidenti con il sistema economico, degli sponsors e delle diverse visibilità, ci siano sport più o meno amati, seguiti e conosciuti, e che di conseguenza le dinamiche di potere – proprie di ogni contesto umano – possano spesso risultare monolitiche e violente. Mi auguro però che non esista “un’unica storia”, nel mondo degli sport. Forse il problema è mediatico, di visibilità, di chi ha la voce più grossa.
Mi lascia interdetta, invece, il modo in cui, per lanciare la sua riflessione sul paternalismo e sul maschilismo nel “sistema sport” Bellutti non esiti ad associarlo al funzionamento della chiesa cattolica romana. Anche su questo, da teologa protestante, potrei tacere, volendo anche avallare. Ma proprio perché conosco bene il pericolo di un’unica storia, mi permetto di segnalare che anche sul cattolicesimo romano non esiste un’unica narrazione possibile, e che captare l’attenzione di chi legge utilizzando stereotipi estremamente superficiali, che peraltro non sono di grande utilità all’insieme dell’articolo (dopo aver lanciato strali sul maschilismo paternalista del cattolicesimo romano nelle prime righe il discorso scompare dall’orizzonte di una riflessione che si annunciava e che sarà sul mondo dello sport) non è di grande aiuto.
Penso in particolare agli anni di lavoro di donne, teologhe, credenti, cattoliche romane e non soltanto, in Italia ed altrove, che denunciano, analizzano, decostruiscono e cercano alternative ad un sistema effettivamente patriarcale e paternalista. Donne che, negli anni, hanno pubblicato testi, acquisito incarichi, perso incarichi, convinto colleghi uomini che la questione del disequilibrio interno al cattolicesimo romano sulla questione non è solamente un problema da donne, che le donne e solo loro devono gestire. Alcuni nomi, per tutti, e limitati al contesto del cattolicesimo italiano: Marinella Perroni, Serena Noceti, Lucia Vantini. Donne che insegnano nelle università pubbliche ed in quelle cattoliche, che pubblicano e rivendicano spazio ed ascolto, e li ottengono.
Certo, la critica rimane, e parte legittimamente da loro: “non è possibile mettere le donne le une contro le altre, le rigide contro le progressiste, non è questa la strada. Uno scisma nascosto delle donne va avanti da decenni”, diceva Perroni qualche anno fa[3]. E continua a dirlo, anche recentemente, a commento dei lavori del Sinodo 2024[4].
Un’intera serie di testi, a più voci, sulla questione della “smaschilizzazione della Chiesa” è stata presentata solo qualche settimana fa[5], uno dei frutti del lavoro delle colleghe del Coordinamento Teologhe Italiane (https://www.teologhe.org/ ), che spesso, negli ultimi anni in particolare, ha affrontato ed affronta le questioni delle dinamiche di potere e di genere in seno al cattolicesimo, al dialogo ecumenico ed interreligioso, a volte in collaborazione con colleghi uomini. Tutto questo non può essere liquidato nell’unica narrazione di una chiesa asfittica, violentemente maschilista ed immutabile. Donne si diventa ogni giorno, scriveva Beauvoir. Ma come primo passo, sarebbe importante che l’essere donna di una persona non venisse violentemente ignorato da un’altra donna, men che meno se ciò ha il semplice scopo di aprire un articolo. Mi aspetto, da donna e da teologa, un po’ più di fair play, almeno “tra noi”.
[1] Chimamanda Ngozi Adichie, Il pericolo di un’unica storia, Einaudi, Torino, 2009.
[2] https://www.editorialedomani.it/fatti/sport-patriarcato-violenze-fisiche-psicologiche-chiesa-bd4chpac consultato il 9 Dicembre 2024.
[3] https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2018/04/24/news/donne-la-teologa-marinella-perroni-e-ora-che-la-chiesa-si-metta-in-loro-ascolto-1.34009282/ consultato il 9 Dicembre 2024.
[4] https://www.repubblica.it/vaticano/2024/10/04/news/sinodo_vaticano_marinella_perroni_donne_gay-423535111/ consultato il 9 Dicembre 2024.
[5] https://ilregno.it/regno-delle-donne/blog/smaschilizzare-la-chiesa-marinella-perroni consultato il 9 Dicembre 2024.
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