09 Ago Mai più Hiroshima e Nagasaki
di Pietro Polito (Centro Studi Gobetti). Foto di Lino Brunetti
“La guerra è la distruzione di tutto la status quo”. Se questa verità elementare oggi viene messa in discussione, alla domanda che Ibrahim Faltas ci rivolge dalla Terra Santa: “Abbiamo seminato pace?”, non possiamo non rispondere che: “Non abbiamo seminato pace”. Nel senso che la cosiddetta svolta nucleare non è stata una vera svolta perché non ha comportato la formazione di una coscienza atomica, vale a dire un rifiuto generalizzato e permanente della guerra.
Per iniziativa di AGITE[1], martedì 6 agosto 2024, alle ore 21, ci siamo riuniti in Piazza Carignano a Torino, a 79 anni dai bombardamenti atomici sul Giappone, per gridare il nostro No alla guerra e alle armi nucleari e per chiedere all’Italia di ratificare il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari adottato dall’ONU il 7 luglio 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021.
La pace e l’ombra di Hiroshima e Nagasaki si prolungano fino a noi con la minaccia dell’uso delle armi nucleari utilizzata per consentire politiche aggressive e al di fuori del diritto internazionale. Ebbene, nell’indifferenza dei potenti della terra e delle maggioranze silenziose, mentre sono sotto i riflettori le guerre in Ucraina e a Gaza, il ricordo della più grande tragedia del Novecento non trova spazio né nelle prime pagine né nelle pagine interne dei piccoli e grandi quotidiani nazionali. Solo “Avvenire” dedica due articoli alle due principali guerre in corso che consentono di riflettere sull’assurdità della guerra.
Riferendosi a Gaza, nell’articolo Abbiamo seminato pace?, Ibrahim Faltas, Frate minore in Terra Santa, ci invita a chiederci “se ognuno di noi, dal più umile al più potente ha fatto il possibile per evitare tanto male”. E domanda: “E’ stato fatto il possibile e l’impossibile per bloccare il traffico mortale di armi e di altri strumenti di morte? […] Abbiamo usato ogni mezzo per seminare pace e unità per estirpare l’erba cattiva dell’odio e della divisione?”. Poi aggiunge: “Far apparire inevitabili, addirittura normali e quindi giuste tutte le violenze che colpiscono la vita e la sua dignità è uno degli effetti più gravi provocati dalla guerra. Le guerre devono essere costantemente ricordate per sconfiggerle e per cancellare l’indifferenza di chi finge di non vedere questa assurdità”[2].
Nell’articolo La guerra è un male contro tutto. Perfino le aquile cambiano rotta, Ferdinando Camon si sofferma su una notizia passata inosservata e solo in apparenza minore. Da uno studio di alcuni scienziati che hanno messo il collare Gps a 19 aquile, che migravano sorvolando l’Ucraina, risulta che esse tendono a fare soste più brevi in Ucraina e soprattutto il suo centro per evitare il sibilo dei missili, il tuono delle esplosioni e il fumo degli incendi. Lo scrittore, con amara ironia, ne trae “un’osservazione spontanea e leggera”: “La guerra è guerra di uomini contro uomini ma anche contro la natura. Far male alla Natura è un modo di far male agli uomini, ma la guerra fa male alla Natura anche quando non vuole. La guerra è un male contro tutto”. Se “il potente dichiara guerra a un popolo nemico, con quell’atto dichiara guerra anche al proprio popolo. E anche a sé stesso”; se il duce “con voce tonante dichiara guerra al mondo, con quell’atto sta impiccandosi”[3].
In breve: “La guerra è la distruzione di tutto la status quo”[4]. Se questa verità elementare oggi viene messa in discussione, alla domanda che Ibrahim Faltas ci rivolge dalla Terra Santa: “Abbiamo seminato pace?”, non possiamo non rispondere che: “Non abbiamo seminato pace”. Nel senso che la cosiddetta svolta nucleare non è stata una vera svolta perché non ha comportato la formazione di una coscienza atomica, vale a dire un rifiuto generalizzato e permanente della guerra.
Costatare questa triste realtà non è un invito alla disperanza quanto piuttosto un rinnovato elogio della tenacia dei pacifisti. Quella tenacia che il grande scrittore Hermann Hesse ha celebrato con queste parole: “C’è una virtù che molto amo, l’unica. Essa ha nome tenacia. Delle molte virtù di cui leggiamo nei libri e di cui sentiamo parlare i maestri non so che farmene. E, d’altro canto, tutte le molte virtù che l’uomo si è inventato potrebbero essere raccolte sotto un’unica denominazione. Virtù significa obbedienza. Solo che c’è da chiedersi a chi si obbedisce. Anche la tenacia, infatti, è obbedienza. Ma tutte le altre virtù, tanto amate e lodate, sono obbedienza a leggi che sono state imposte da uomini; soltanto la tenacia non si inchina a queste leggi. Chi è tenace obbedisce infatti a un’altra legge, una legge particolare, assolutamente sacra, la legge che ha in sé stesso, il “tenere a sé stesso”[5].
Con il coraggio di ogni giorno i tenaci e le tenaci lavorano per pace fino a che “l’umanità ferita / umanità uscita dalla pietra / e arrivata fino a qui” non farà sue le parole della Poeta: “Tutta la terra è in attesa/ di una promessa da te. / Dilla. Dilla. Dai la tua parola”[6]
[1] Coordinamento di cittadini, associazioni, enti e istituzioni locali contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi.
[2] I. Faltas, Abbiamo seminato pace?, “Avvenire”, martedì 6 agosto 2024, p. 14.
[3] F. Camon, La guerra è un male contro tutto. Perfino le aquile cambiano rotta, “Avvenire”, martedì 6 agosto 2024, p. 15.
[4] Ibidem.
[5] H. Hesse, Il coraggio di ogni giorno, Mondadori, Milano 1998 e in Id., Non uccidere, Mondadori, Milano 2020, p. 17,
[6] Mariangela Gualtieri, Salute a te umanità ferita, in Id., Ruvido umano, Einaudi, Torino 2024, p. 90.
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