28 Giu La destra patriottica di Meloni svenduta al secessionismo
Tratto da MicroMega, di Teresa Simeone.
La destra meloniana, quella che un tempo era sovranista e nazionalista, è diventata europeista e secessionista. Per ragioni di puro opportunismo politico. In campo internazionale, per accreditarsi tra gli Stati membri e in ambito interno, per restare al governo. Do ut des: io do l’autonomia differenziata a te, Salvini, e tu dai il premierato a me, Meloni. Con buona pace delle idealità non negoziabili e dell’identità italianissima da rivendicare. Forza Italia, invece, presumibilmente disturbata dall’autonomia differenziata, sarà accontentata con la riforma della giustizia. D’altronde di questi esperimenti che la legge elettorale attiva, abbiamo già visto le incongruenze e gli esisti con il governo giallo-verde. Non è neppure nuovo nella storia il cambio di passo pur di arrivare al potere: lo stesso Mussolini nasce socialista, antimonarchico, anticlericale, laudatore di se stesso come incorruttibile, difensore dell’economia patria e diventa fascista, coabitatore della monarchia, sottoscrittore dei Patti Lateranensi, corrotto e volgare questuante presso il popolo finanche delle sue fedi nuziali. Per non parlare del resto.
L’autonomia differenziata è stata analizzata, in questi mesi, e scarnificata da economisti, politici, costituzionalisti, esponenti di associazioni, vescovi che ne hanno smascherato e chiarito, al di là di ogni ragionevole dubbio, la ratio secessionista: d’altronde, se così non fosse, perché i leghisti avrebbero esultato e festeggiato con bandiere regionali e scene da tifo calcistico? E a chi è legata l’iniziativa di legge? A un patrocinatore dell’unità patria o a Calderoli, esponente della prima ora della Lega a cui il tricolore sembra quasi far paura, come dimostrato nell’episodio dell’attacco squadrista ai danni di Donno, derubricato, secondo una formula difensiva di stampo veterofascista, a provocazione, invece di essere correttamente stigmatizzato come aggressione?
A dare risonanza internazionale al tema è uscito anche un report della Commissione europea che boccia l’autonomia differenziata perché mette a rischio la coesione e le finanze pubbliche e aggrava le disuguaglianze regionali.
Fa specie, perciò, che anche i meridionali abbiano votato questa coalizione, permettendo che si preparasse il loro lento suicidio. Il Sud sconta ancora un gap enorme, in termini di servizi e di infrastrutture e l’autonomia differenziata non migliorerà di certo la sua condizione, come falsamente prospettano i suoi patrocinatori. Se i servizi sociali fossero erogati da strutture pubbliche e pagati con le imposte progressive sul reddito, forse si potrebbe anche sperarlo, come si sostiene nell’articolato pezzo pubblicato qui qualche giorno fa, ma purtroppo non è affatto così perché i processi di privatizzazione hanno peggiorato i servizi sanitari che non sono più garantiti, come qualunque cittadino può testimoniare sulla propria pelle quando si trova nella condizione di ricorrere all’assistenza sanitaria, al pronto soccorso, a visite mediche urgenti, ad asili nido e a ogni forma di servizio pubblico. Ancora una volta, chi potrà permetterselo, cioè i ricchi, potrà fare a meno delle liste di attesa e del ricorso al pubblico: chi non potrà sostenere le spese di un’ecografia a 200 euro o di una gastroscopia a 400, dovrà rischiare di scoprire che ha un male incurabile solo quando sarà troppo tardi, alla faccia del continuo appello alla prevenzione che ipocritamente i diversi governi continuano a richiamare demagogicamente senza in realtà fare nulla per renderla attuabile. Per questo Gianfranco Viesti, uno dei principali esperti di coesione territoriale, ha definito l’AD la secessione dei ricchi. Non è mica ininfluente che a richiederla, infatti, siano state le regioni più benestanti d’Italia.
I Lep, assicurati senza sperequazioni, poi, sono solo la scusa per rendere presentabile e affrontabile il problema, dal momento che i livelli bassi di erogazione dei servizi pubblici dovrebbero essere poi effettivamente integrati privatamente. D’altronde, come si è detto in Parlamento in questi giorni, se si stabiliscono i LEP, si devono prevedere i finanziamenti per realizzarli, cioè, relativamente all’ambito sanitario a esempio, concretizzare di quanti servizi, infrastrutture, ospedali hanno bisogno le diverse regioni, cosa che non è stato assolutamente fatto. L’autonomia differenziata ha dei costi ma dove sono i fondi? Salvini parla di “capacità” degli attori in causa, ma aumentare e migliorare i servizi significa introdurre altri capitali, mettere soldi; se questi non ci sono, li potranno migliorare solo le regioni più abbienti. Alla fine del discorso, chi è ricco si curerà privatamente, chi è povero dovrà rinunciare a farlo. E tutto in spregio a quell’articolo 2 che recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Solidarietà non egoismi da parte delle zone più ricche del territorio, cooperazione non contrapposizione, egualitarismo di condizioni non disuguaglianze tra regioni.
È questa l’attenzione alle fasce basse della popolazione di cui tanto si vanta il governo Meloni, col suo continuo ricorso al popolo che l’avrebbe votato e in nome del cui consenso tutto gli deve essere concesso? Naturalmente non si fa parola delle altre promesse non mantenute, vedi abolizione delle accise, soluzione del problema dei migranti, incremento delle condizioni di vita economica che avrebbero potuto essere migliorate con il salario minimo. Molto si è fatto, invece, per imbavagliare la stampa, censurare la manifestazione del libero pensiero, colonizzare la Rai, aggravare le pene per i reati minori, accentrare sul governo il processo legislativo come dimostra il 73% di leggi di iniziativa governativa approvate, continuare a indebolire la 194, introducendo associazioni Provita all’interno dei consultori.
Ciò che sembra prevalere nella coalizione di governo, la più a destra che ci sia stata nell’Italia repubblicana, è l’insofferenza per la Costituzione, un’insofferenza che nasce dal fatto che probabilmente non l’ha mai sentita veramente espressione di una sua visione politica, essendo nata, la nostra Carta, dalla lotta resistenziale e da una richiesta di democrazia inequivocabilmente antifascista. L’avversione per ciò che l’ha fatta nascere e l’ha fatta crescere, l’antifascismo e il ripudio di ogni estremismo, come dimostra la sua natura compromissoria fra anime democratiche e liberali plurali, non gliela fa percepire come propria, come un bene da difendere. Piuttosto come qualcosa da cambiare per poter cambiare, come ripetono spesso, l’Italia.
Con l’autonomia differenziata, ha scritto qualche tempo fa Isaia Sales, si costituzionalizza la “disuguaglianza di luogo”. A seconda di dove vivi hai maggiori o minori possibilità di usufruire di ciò che ti spetterebbe come cittadino di una nazione. È un assurdo. È un ritorno al frammentarismo, alle piccole patrie regionali, al feudalesimo.
Nella sua smania di regnare, il governo Meloni ha rinunciato all’unità nazionale e alla coerenza, di cui tanto si vantano i suoi rappresentanti, svendendo lo Stato unito ai progetti secessionisti della Lega e di fatto mercificando, per puri calcoli utilitaristi, la volontà degli elettori che hanno dato a FdI la maggioranza e hanno relegato la Lega a posizioni numericamente e politicamente marginali. Ma, purtroppo, ancora sufficienti e sempre funzionali al mantenimento del potere.
Staremo a vedere come FdI gestirà il rapporto con i suoi elettori, se questi ultimi accetteranno lo sfregio alle loro idee o se l’autonomia differenziata si rivelerà un grosso boomerang.
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