Tratto da Repubblica, di Lorenzo Sangermano Il senatore di Fratelli d'Italia ritorna sull'argomento dopo la dura opposizione contro il ddl Zan. Risponde Calenda: "Considerazioni indegne e sintomo di una profonda ignoranza". Pina Picerno: "Abominevole chi la pensa come lui". Gelmini: "Al senatore devono essere sfuggite le affermazioni di Papa Francesco". Malpezzi (Pd): "Fdi si dissoci", Della Vedova: "Destra reazionaria e illiberale". Malan replica: "Frainteso, mai detto quelle cose" Incalzato dai microfoni di Rai Radio1, il senatore Lucio Malan, compagno di partito della premier Meloni, si sbilancia e chiarisce la motivazione della sua fuga da Forza Italia, forza politica di Silvio Berlusconi. "Il motivo principale per cui sono passato a FdI? Ad esempio la posizione del governo Draghi sulla legge Zan, a cui io sono contrario", chiarisce il senatore. Un'opposizione già esposta nel percorso parlamentare del disegno di legge del senatore Pd Alessandro Zan e che, per Malan, trova giustificazione nella sua fede. Membro della chiesa valdese, istituzione favorevole ai matrimoni omosessuali, Malan si allontana dal credo della sua comunità. "Ma non abbiamo il dovere di obbedienza, - secondo il senatore - la chiesa Valdese è fondata sulla Bibbia e non sulla gerarchia". Per l'ex forzista la posizione nasce dall'autorità stessa della Bibbia. Infatti, nonostante nel testo sacro non vi sia alcun riferimento ai matrimoni omosessuali, "C'è scritto di peggio - continua Malan - ed in modo anche più esplicito. Non sui matrimoni ovviamente, a cui nessuno aveva pensato duemila anni fa". Una cosa però per il senatore è scritta nel testo sacro. "C'è scritto che l'omosessualità è un abominio, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento".

Calenda: "Considerazioni indegne"

Alle dichiarazioni del parlamentare di Fratelli d'Italia è seguita la risposta del leader di Azione Carlo Calenda. "Non so come qualificare queste esternazioni. Personalmente le considero indegne e sintomo di una profonda ignoranza. Se le nostre regole derivassero dal Vecchio Testamento - continua Calenda - non saremmo molto diversi dai talebani. Per fortuna abbiamo avuto il Vangelo e lo Stato laico". Dall'Europa si fa sentire la vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picerno, membro del Partito Democratico. Per l'europarlamentare, invece che vedere come il senatore un abominio nell'omosessualità, "l'unica cosa abominevole è la gente che la pensa come Malan".
Un ddl oltre il grottesco propone 20mila euro di sconto ma solo per chi sceglie il parroco: poi la retromarcia, ma la crisi di Salvini & co è palese Tratto da Wired, di Simone Cosimi A un mese dal decollo del nuovo governo la Lega è già alla frutta dei bonus matrimoni. Solo quelli celebrati in chiesa, s’intende, non sia mai che la laicità dello Stato riesca a far breccia nella brodaglia pseudocattolica tutta crocefissi e preghierine di Matteo Salvini e compagnia. C’è da dire che il bonus da massimo 20mila euro è un’iniziativa parlamentare: c’è un disegno di legge, depositato domenica sera, di cui si è discusso non poco nelle ultime ore e che potrebbe serenamente finire in un vicolo cieco. Oppure no: in fondo lo storytelling del provvedimento non dev’essere poi troppo sgradito alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che pure sembra preferirebbe passare da misure più concrete come il (sacrosanto) taglio dell’Iva sui prodotti per l’infanzia o l’irrobustimento dell’assegno unico famigliare, sarebbe meglio per tutti ma per ora per i nuclei più numerosi.
Tratto da ilMulino, di Renzo Guolo Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta impossibile, ma la sua fine. Il che muta anche natura e intensità della repressione
La rivolta innescata dalla morte di Mahsa Amini è sfociata in una crisi senza precedenti nella Repubblica islamica d’Iran. Centinaia di vittime e migliaia di arresti costituiscono il provvisorio bilancio di un sommovimento che scuote alle fondamenta il regime. Alla protesta delle giovani donne urbane contro la biopolitica islamista fondata sul controllo sociale del corpo femminile, simboleggiata dal disvelamento pubblico di massa, dal taglio di quei capelli che, secondo il regime, vengono esibiti “ostinatamente” dalle bad hejab (le “mal velate”), trasformando la seduzione in sedizione, si è saldata quella degli uomini. In strada scendono ormai non solo donne ma anche molti uomini, le une e gli altri di diversa condizione sociale e differenti etnie.
Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta impossibile, ma la sua fine. E ciò muta anche natura e intensità della repressione. Negli scorsi decenni nella Repubblica islamica non sono mancate forti fibrillazioni: dallo scontro tra conservatori e riformisti durante l’era Khatami alla protesta dell’Onda verde contro il “colpo di Stato nelle urne” che ha confermato Ahmadinejad alla presidenza, sino ai moti contro il carovita repressi nel sangue. Ma la situazione in corso assume i tratti di una vera e propria crisi di legittimazione. In discussione non vi è solo un indirizzo politico, o una stretta più o meno rigida dei costumi, bensì la stessa natura del regime. Come rivela un gesto che, in altre circostanze, poteva sembrare solo un’irridente pratica goliardica: lo schiaffo che, per strada, fa volare via il turbante dei chierici sciiti. Oltraggio che esprime, anche plasticamente, la fine della sacralità del potere. <<In discussione non vi è solo un indirizzo politico, o una stretta più o meno rigida dei costumi, bensì la stessa natura del regime>>
Tratto da unaparolaalgiorno, di Salvatore Congiu ra-gió-ne SIGNIFICATO Facoltà umana di discernere, stabilire connessioni logiche tra idee e formulare giudizi, che è base della conoscenza

ETIMOLOGIA dal latino ratio ‘calcolo ragione’, derivato di ratus, participio passato di reri ‘calcolare, ritenere, considerare’.

  • «Hai ragione tu.»
Avere l’uso della ragione (facoltà del pensiero), esporre le proprie ragioni (argomentazioni), avere ragione (essere nel giusto), avere ragione dei nemici (imporsi, vincere), chiedere ragione (conto) di qualcosa, non avere ragione (motivo) di essere, in ragione (in proporzione) diretta o inversa, ragione sociale (nome commerciale indicante anche i rapporti tra i soci), e infine i Palazzi della Ragione (tribunali) di città come Padova e Vicenza. È strabiliante la quantità di accezioni di questa parola, e ancor più che derivino tutte dal significato di base del latino ratio, rationis – calcolo, conto – da cui si passa al bilancio, e quindi alla proporzione, al rapporto tra due quantità, e alla regola, al criterio (perciò parliamo di extrema ratio, e in inglese ratio – pronunciato grossomodo réscio – significa appunto ‘rapporto, proporzione’). Ma dove c’è calcolo, ovviamente, c’è interesse, tornaconto, che ognuno – quando cerca di ‘far valere le proprie ragioni’ – rivendica come diritto soggettivo, che volentieri però si afferma come oggettivo, come giustizia. Anche alla ragione come facoltà del pensiero si arriva tramite il calcolo: calcolare è stimare e discernere, e non a caso raccolta e selezione dei dati sono etimologicamente alla base dell’intelligenza (inter legere: trascegliere, distinguere). In quanto principio, legge razionale della realtà, poi (analogamente al greco logos, di cui era la traduzione), era naturale che la ratio potesse anche rappresentarne la causa, il criterio di spiegazione. Per contro, non sorprende che in quanto raccolta, organizzazione ed esposizione dei dati (ragionamento, appunto), la ragione come facoltà intellettiva non sia stata ritenuta, in ambito filosofico, fonte di conoscenza suprema: la ratio latina corrispondeva alla diànoia greca, ossia al pensiero discorsivo, che procede per sillogismi, mediazioni, ricavando conclusioni da premesse; ma la conoscenza più alta, per Platone e Aristotele, era la nóesis, l’intuizione intellettiva, la quale coglie in modo in-mediato la verità dei principî fondamentali del pensiero e dell’essere.
Tratto da riforma, di Alessio Lerda  Intervista al presidente Armando Augello Cupi

Sono almeno tremila gli apolidi che vivono sul territorio italiano, persone prive dei documenti che garantiscano loro una cittadinanza e che si trovano così in un limbo che rende complicato, se non impossibile, l’accesso a diversi diritti fondamentali come istruzione, sanità pubblica, misure di protezione sociale e lavoro.

Per questo è nata ora l’Unione Italiana Apolidi (UNIA) e abbiamo parlato con il presidente, Armando Augello Cupi, delle principali istanze. Intanto si vuole arrivare ad una maggiore contezza rispetto al numero degli apolidi nel paese, ma allo stesso tempo fare pressione sulle istituzioni affinché rendano più facili i processi burocratici verso l’ottenimento della cittadinanza, che spesso si prolungano per molti anni.

In questi primi giorni di vita l’UNIA non ha ricevuto riscontri dalle forze politiche, ma sono fioriti contatti con persone apolidi che chiedono assistenza e con associazioni ed enti che potrebbero aiutare la missione dell’Unione.

Tratto da agi, di Alberto Ferrigolo Le aziende tecnologiche fanno ancora resistenza a consentire l'accesso a smartphone, mail e dati in genere. La nuova legge sulla privacy del 2018 ha però aperto le porte agli eredi digitali, a meno che il defunto non lo abbia vietato esplicitamente AGI - Secondo L’Essenziale, quotidiano online legato alla rivista Internazionale, “sono in aumento i casi di persone che chiedono di accedere alle foto e ai messaggi dei familiari morti” ma “le grandi aziende tecnologiche fanno resistenza”. Così racconta il caso di Carlo Costanza, chef originario di Agrigento trapiantato a Milano per lavoro, deceduto a 25 anni in un incidente d’auto nel marzo del 2017: “Nello schianto – si legge – è andato distrutto anche il suo iPhone” così i genitori, “alla ricerca di ricordi che li aiutassero a colmare, almeno in parte, il loro senso di vuoto, hanno chiesto a Apple Italia Srl “di poter accedere all’account iCloud del figlio”, nel quale erano stati sincronizzati foto e video, messaggi e applicazioni, note e ricerche, informazioni che nell’insieme contribuiscono oggi a comporre l’identità digitale. Ebbene? Nel servizio si legge che nella richiesta i genitori hanno sottolineato che “avrebbero voluto poter leggere le ricette annotate dal giovane” per “un progetto dedicato alla sua memoria”, ma l’azienda per tutta risposta si è limitata a ribadire che “non intendeva fornire ai genitori l’accesso al suo iCloud fino a quando non avessero presentato un documento che li designasse come ‘agenti del defunto’ e portatori formali di un ‘consenso legittimo’, come predisposto dall’Electronic Communication privacy act”, legge statunitense che disciplina la divulgazione autorizzata dei dati, al fine di “proteggere l’identità delle persone terze” al fine di tener fede al principio di riservatezza sottoscritto da Apple alla stipula del contratto con i clienti.
Tratto da Huffpost, di Aldo Premoli  Il presidente della Commissione cultura di Montecitorio esterna in modo grossolano. In contrasto con le iniziative di due tra i più noti hub al mondo: il museo di Parigi e la Fondation Beyeler a Basilea Federico Mollicone, assurto agli onori delle cronache per la sua comica esternazione "in difesa della famiglia" nei confronti del cartone animato Peppa Pig è ora addirittura divenuto presidente della Commissione Cultura della Camera. Fedele al suo mentore Giorgia Meloni in questa nuova veste ha immediatamente colto l'occasione per esternare contro migranti e ONG. Durante la trasmissione su La7 L'aria che tira ha dichiarato che: "strumentalizzare gli immigrati come scudi umani è un atteggiamento indecente ed è fatto per sostenere questo circuito delle Ong, che di fatto è anche economico (...)". Tutto questo mentre il nuovo governo italiano ingaggiava un malgestito scontro diplomatico con le autorità francesi sulla questione legata al possibile approdo di Ocean Viking con 230 migranti a bordo. Impossibile non chiedersi perché Mollicone sia andato a sbattere immediatamente sulla questione migranti quando il ruolo della cultura da sempre è quello di creare ponti anziché innalzare barriere. Da tempo non si assisteva a un gesto così grossolano da parte di un decisore a capo di un'istituzione culturale. Quel che accade altrove è presto detto. Significative sono le recentissime iniziative di due tra i più noti hub culturali al mondo, il Louvre a Parigi e la Fondation Beyeler a Basilea.
Tratto da pressenza, di Daniela Bezzi Impresa epica, eroica, magnifica, entusiasmante… qualunque superlativo non suonerà esagerato, per definire questa straordinaria, colorata, coinvolgente Walk to Justice (Marcia per la Giustizia) che è partita il 1° di settembre da Minneapolis e ha raggiunto finalmente Washington Dc nel week end del 12/13 novembre. In tempo per il grande raduno di tutte le possibili Nazioni Indiane e relative bandiere, insegne, pennacchi, striscioni. Per ribadire una volta per tutte la richiesta di clemenza per il nativo americano Leonard Peltier, da 47 anni in galera per un crimine che nessun tribunale è mai riuscito a dimostrare – in galera quindi ingiustissimamente, come i lettori di Pressenza (che del caso si è occupata in più occasioni) dovrebbero ormai sapere. Oltre 1.100 miglia, circa 1.800 km: una media di 25 km al giorno, percorsi a volte in gruppo, più spesso in solitaria, dandosi il cambio, a staffetta. Per strade, stradine, stradone che una volta erano sentieri. Costantemente seguiti da un paio di macchine attrezzate per i pasti, per la notte, per offrire rifugio nei momenti di stanchezza, per la ricarica di cellulari e computer, per la puntuale documentazione dei paesaggi attraversati ogni giorno – e attraversati passo dopo passo in spirito di preghiera (questo particolare i post sui social lo sottolineano in continuazione). Un’esperienza di sacralità per il semplice fatto di camminare su quelle stesse terre che appartenevano un tempo agli antenati, sotto quelle stesse fronde, lungo quegli stessi boschi, verso quegli stessi orizzonti che erano un tempo territori nativi – prima che arrivasse l’uomo bianco…
Tratto da ilmanifesto, di Mario di Vito Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto Il giorno prima della nascita del governo Meloni, come suo ultimo atto da ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi ha messo la firma su un documento di 90 pagine intitolato «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica». Si parla, insomma, di foibe e, benché il tutto sia stato approvato a metà settembre da un larghissima commissione variamente composita, la sua divulgazione, alla vigilia dell’insediamento del governo di destra, testimonia un curioso passaggio di consegne, nella migliore delle ipotesi, oppure un grande riposizionamento generale all’interno del Miur. Queste linee guida stanno facendo discutere molto nel mondo della scuola, sia per questioni di merito sia per fatti di metodo. Per cominciare, in effetti, è curioso che un ministero si occupi in questa maniera di un tema tanto specifico, e – a memoria di molti insegnanti – nessun argomento sin qui si è meritato un fascicolo di 90 pagina tutto per sé. Inoltre, l’invasione di campo è evidente: il tema delle foibe e dei fatti avvenuti al confine orientale negli anni Quaranta sono già affrontati nei manuali. LA SCUSA della «verità taciuta» ormai non regge più: il giorno del ricordo – fissato al 10 febbraio, là dove il resto d’Europa conserva la memoria degli accordi di Parigi che posero formalmente fine alla Seconda Guerra Mondiale – è stato istituito nel 2004, dunque ormai 18 anni fa. I redattori delle linee guida sono docenti di chiara fama (Raoul Pupo, Giuseppe Parlato, Guido Rumici e Roberto Spezzali), ma basta guardare i revisori per rendersi conto di quanto sia politica l’operazione: venti persone, in rappresentanza di tutte le associazioni degli esuli, oltre a figure extraistituzionali come i rappresentanti dei «liberi comuni in esilio» di Zara e di Pola. Come e perché questi signori siano finiti a occuparsi di faccende didattiche non è chiaro, ma tant’è.
Tratto da lifegate, di Simone Santi  La Fifa alle federazioni che saranno ai Mondiali in Qatar: “Concentriamoci sul calcio”. Le europee rispondono: “Continueremo a sostenere i diritti umani”. “Per favore, concentriamoci sul calcio”. La Fifa ha chiesto ufficialmente alle federazioni delle 32 nazionali che parteciperanno ai Mondiali in Qatar al via il 20 novembre di non porre in atto iniziative di protesta e di critica nei confronti dell’emirato per il mancato rispetto dei diritti umani, in relazione o meno con l’organizzazione del torneo. Alcune federazioni europee però hanno risposto duramente: “Continueremo a batterci per i diritti umani”. E visto che l’ambasciatore dei Mondiali Khalid Salman ha ribadito che in Qatar l’omosessualità è considerata un disagio mentale, probabilmente ce n’è davvero bisogno.

Mesi di proteste in tutto il mondo 

Da mesi, se non da anni, i Mondiali in Qatar sono nel mirino delle associazioni che si battono per i diritti umani ed ambientali, e ultimamente anche alcune nazionali partecipanti hanno mostrato le loro rimostranze: la Danimarca giocherà con una maglia priva del nome dello sponsor tecnico, che non vuole prestare la propria immagine al torneo, e con un terza maglia completamente nera in segno di lutto per gli almeno 6.500 immigrati morti sul lavoro per realizzare le infrastrutture necessarie allo svolgimento dei Mondiali. Khaled al-Suwaidi, un membro anziano del comitato organizzatore della Coppa del Mondo del Qatar, ha risposto all’annuncio della Danimarca, dicendo che il Paese ha usato i Mondiali di calcio “come catalizzatore per guidare il cambiamento” e ha riformato le sue leggi sui lavoratori migranti. I calciatori della nazionale australiana hanno pubblicato un video in cui si critica il Qatar per le sue leggi in materia di diritti umani e chiedendo la depenalizzazione delle relazioni omosessuali, che sono severamente vietate in Qatar, ricevendo come risposta dagli organizzatori un messaggio che suona come un “nessuno è perfetto”.