Tratto da Amnesty Dall’inizio del 2023 le autorità iraniane hanno messo a morte, sempre a seguito di processi iniqui, almeno 173 prigionieri per reati di droga, quasi il triplo rispetto al numero del 2022.
Tratto da Huffpost La richiesta al procuratore generale di Teheran dopo che da novembre 2022 più di 13mila studentesse sono state intossicate da sostanze gassose nelle loro scuole e ricoverate successivamente in ospedale.
Tratto da Luce di Marianna Grazi Quando le pattuglie della polizia morale non sono in zona, dove i singoli cittadini fedeli al regime non bastano, ci pensano i video di sorveglianza. Le autorità iraniane, infatti, hanno iniziato ad installare telecamere nei luoghi pubblici per identificare le donne che violano l’obbligo di indossare il velo. Come riporta la Bbc, gli agenti e il governo promettono tolleranza zero verso chi non rispetta la legge che obbliga a coprirsi la testa. Una minaccia concreta, visto quello accaduto nei mesi scorsi, a partire dalla morte della 22enne curda Mahsa Amini.
Tratto da La Stampa di Serena Riformato

Davanti all’ambasciata della Repubblica islamica a Roma attivisti e cittadini hanno accompagnato la consegna della petizione de La Stampa. Il direttore Massimo Giannini ha depositato otto scatoloni con le sottoscrizioni.

“Mai dimenticare, mai perdonare”. Davanti all’ambasciata della Repubblica islamica a Roma attivisti e cittadini hanno accompagnato la consegna della petizione de La Stampa per chiedere il rispetto dei diritti umani dei manifestanti iraniani che da oltre cento giorni il protestano contro il regime degli ayatollah.

Ai piedi della porta dell’ambasciata il direttore de La Stampa Massimo Gianni ha depositato i dieci scatoloni contenti le oltre trecentomila firme raccolte per salvare la vita di Fahimeh Karimi. Le nostre, le vostre firme per chiedere di fermare le incarcerazioni ingiuste, le torture, le condanne a morte di chi in Iran manifesta pacificamente per cambiare il proprio Paese.

Tratto da ilMulino, di Renzo Guolo Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta impossibile, ma la sua fine. Il che muta anche natura e intensità della repressione
La rivolta innescata dalla morte di Mahsa Amini è sfociata in una crisi senza precedenti nella Repubblica islamica d’Iran. Centinaia di vittime e migliaia di arresti costituiscono il provvisorio bilancio di un sommovimento che scuote alle fondamenta il regime. Alla protesta delle giovani donne urbane contro la biopolitica islamista fondata sul controllo sociale del corpo femminile, simboleggiata dal disvelamento pubblico di massa, dal taglio di quei capelli che, secondo il regime, vengono esibiti “ostinatamente” dalle bad hejab (le “mal velate”), trasformando la seduzione in sedizione, si è saldata quella degli uomini. In strada scendono ormai non solo donne ma anche molti uomini, le une e gli altri di diversa condizione sociale e differenti etnie.
Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta impossibile, ma la sua fine. E ciò muta anche natura e intensità della repressione. Negli scorsi decenni nella Repubblica islamica non sono mancate forti fibrillazioni: dallo scontro tra conservatori e riformisti durante l’era Khatami alla protesta dell’Onda verde contro il “colpo di Stato nelle urne” che ha confermato Ahmadinejad alla presidenza, sino ai moti contro il carovita repressi nel sangue. Ma la situazione in corso assume i tratti di una vera e propria crisi di legittimazione. In discussione non vi è solo un indirizzo politico, o una stretta più o meno rigida dei costumi, bensì la stessa natura del regime. Come rivela un gesto che, in altre circostanze, poteva sembrare solo un’irridente pratica goliardica: lo schiaffo che, per strada, fa volare via il turbante dei chierici sciiti. Oltraggio che esprime, anche plasticamente, la fine della sacralità del potere. <<In discussione non vi è solo un indirizzo politico, o una stretta più o meno rigida dei costumi, bensì la stessa natura del regime>>
Tratto da The Submarine, di Cecilia Pellizari Sono più di un centinaio le donne iraniane che martedì scorso si sono organizzate in un sit-in di fronte all’ambasciata dell’Iran in via Nomentana, a Roma. I cartelli urlano “Donna, vita, libertà”, slogan che in questi dieci giorni continui di protesta in Iran hanno attraversato le piazze di circa 80 città del paese. Si organizzano tutte per la morte di Mahsa Amini, uccisa dalla Gash-e Ershad, la polizia morale islamica, per aver indossato scorrettamente l’hijab in un luogo pubblico.
La mobilitazione internazionale, dal basso, è arrivata praticamente subito. Nonostante il blocco totale delle linee internet in Iran, video e foto sono riusciti a uscire dal Paese, per raggiungere i media di tutto il mondo. Il KJK (Comunità delle donne del Kurdistan) ha pubblicato, qualche giorno fa, unadichiarazione in cui condanna la polizia morale iraniana e chiede “una lotta organizzata contro il femminicidio e il sistema di governo patriarcale.” Secondo l’organizzazione Iran Human Rights sono 76 i manifestanti uccisi in questi giorni, e superano il migliaio le persone incarcerate.