Tratto da rainews

Voto favorevole della maggioranza dell'assemblea: sì ad emendamenti legislativi che puniscono i rapporti sessuali extra coniugali, apportando altre importanti modifiche. Amnesty: "Un colpo significativo per i diritti umani"

No al sesso fuori dal matrimonio, il parlamento indonesiano ha approvato a maggioranza gli emendamenti legislativi. La stretta nel paese a maggioranza musulmana arriva insieme ad altre importanti modifiche al codice penale. La denuncia di Amnesty International: “Un duro colpo per i progressi dell'Indonesia nella protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali per oltre due decenni. E' spaventoso”
Tratto da repubblica Proposta di regolamento per garantire il trasferimento delle tutele all'interno dell'Europa. Si pensa anche a un certificato europeo di genitorialità. Von der Leyen: "Sono orgogliosa delle nuove norme". BRUXELLES - I genitori dello stesso sesso e i loro figli dovrebbero essere riconosciuti come una famiglia anche si spostano da uno Stato dell'Unione a un altro. È uno dei principi al centro della proposta di regolamento presentata oggi dalla Commissione Ue per garantire le famiglie con genitori gay. "La proposta è incentrata sull'interesse superiore e sui diritti del bambino", spiega Bruxelles, evidenziando che "la genitorialità stabilita in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuta in tutti gli altri Stati membri, senza alcuna procedura speciale", incluso il riconoscimento per i "genitori dello stesso sesso". Le nuove norme, afferma la Commissione europea, garantiranno "chiarezza giuridica a tutti i tipi di famiglie che si trovano in una situazione transfrontaliera all'interno dell'Ue" e consentiranno "ai minori in situazioni transfrontaliere di beneficiare dei diritti derivanti dalla genitorialità ai sensi del diritto nazionale, in questioni quali la successione, il mantenimento, l'affidamento o il diritto dei genitori di agire in qualità di rappresentanti legali del minore (per questioni scolastiche o sanitarie)".
Tratto da riforma 

La Giuria Interfedi del Torino Film Festival ha assegnato il suo “Premio per il rispetto delle minoranze e per la laicità” al film “I sogni abitano gli alberi”.

Opera prima del regista Marco Della Fonte, ospite al 40° Torino Film Festival (25 novembre – 3 dicembre 2022), il lungometraggio riceve così il riconoscimento della nona edizione di questa giuria speciale.

La Giuria Interfedi è infatti promossa, dal 2013, dalla Chiesa valdese e dalla Comunità ebraica di Torino, con il patrocinio del Comitato Interfedi della Città di Torino.

Tratto da ilmulino, di Fabrizio Floris, Pino Luciano Nessuna legge in materia di psichiatria sarà abbastanza innovativa finché si continuerà a trattare il disagio psichico con pratiche finalizzate più al controllo che alla cura. Un dialogo con lo psichiatra Ugo Fornari Periodicamente fatti eclatanti di cronaca portano all’attenzione dell’opinione pubblica situazioni in cui persone con disagio psichico diventano socialmente pericolose: si determina così un dibattito emotivo che oscilla tra la paura e le proposte di esclusione e reclusione delle persone affette da questo tipo di disagio (sino al tradizionale «buttiamo la chiave» dopo averli rinchiusi). Con la legge del 30 maggio 2014, che ha decretato il superamento dei cosiddetti ospedali psichiatrici giudiziari, sembrava si fosse fatto un passo avanti significativo. Ne abbiamo parlato con Ugo Fornari, già professore ordinario di Psicopatologia forense all’Università di Torino e autore di numerose pubblicazioni, tra cui il Trattato di psichiatria forense (Utet, 2021). «Per inquadrare bene la situazione attuale – esordisce il professore – bisogna partire dal fatto che nell’Ottocento e per buona parte del Novecento il trattamento della follia è rientrato quasi esclusivamente nella dimensione del controllo sociale, attraverso l’espulsione dal consorzio civile delle classi pericolose, identificate fin dai secoli precedenti nel sottoproletariato, nei disoccupati, nei vagabondi, nei mendicanti, negli immigrati, nei nullatenenti e nei pazzi, categoria non ben definita di diversi. Ecco che allora la storia del manicomio civile si identifica con un certo modo di concepire la psichiatria, come una forma di esercizio particolare del controllo sociale». FABRIZIO FLORIS, PINO LUCIANO: Come si è manifestata nella pratica questa idea? UGO FORNARI Nel 1876 venne inaugurato il primo «manicomio criminale» italiano, nato come Sezione per maniaci presso la «Casa penale per invalidi» di Aversa: aveva lo scopo di ospitare condannati «impazziti in carcere», al fine di evitare «conseguenze dispiacevoli per l’ordine, la disciplina, lo stato igienico e la sicurezza interna delle Case penali del Regno» (circolare del ministero dell’Interno inoltrata ai direttori dei manicomi, 1872). Dopo quello di Aversa nacquero Montelupo Fiorentino (Fi), nel 1886; Reggio Emilia, nel 1892; Napoli, nel 1922; Barcellona Pozzo di Gotto (Me), nel 1925; e Pozzuoli, nel 1955 (che chiuderà già nel 1974).
Tratto da valigiablu, di Roberta Covelli
PROPOSTO L'EMENDAMENTO PER SOSTITUIRE LA NORMA 'ANTI-RAVE'
Aggiornamento 2 dicembre 2022: Nella fase di conversione del decreto legge 162/2022, il Governo ha presentato un emendamento per sostituire integralmente l’articolo 5, che introduce la cosiddetta norma anti-rave. La proposta di modifica riguarda sia la formulazione, sia la collocazione, sia alcuni elementi sostanziali del nuovo delitto, ma restano intatte molte criticità. Il nuovo reato, sintatticamente più in linea con la formulazione delle altre norme del codice penale, non sarebbe più il 434-bis cp, bensì il 633-bis cp: in questo modo non si tratterebbe più di reato contro l’incolumità pubblica, ma di reato contro il patrimonio. Quanto alla sostanza del reato, si propone di eliminare il requisito numerico (50 persone) e di aggiungere quello sonoro, prevedendo che i raduni punibili siano quelli “musicali”. Verrebbe poi eliminato il riferimento al codice antimafia e quindi l’applicabilità delle misure di prevenzione, tra cui la sorveglianza speciale, contro gli indiziati del reato in questione. Infine, mentre nel testo originale (tuttora vigente) si parla di raduni da cui “può derivare un pericolo”, nella proposta di modifica si prevede che il reato si verifichi quando “dall’invasione deriva una situazione di concreto pericolo”, quindi rendendo attuale e non più solo potenziale il pericolo. La pena resta invece la stessa: da tre a sei anni, da 1000 a 10000 euro di multa. Si consente così il ricorso alle intercettazioni (che sono ammesse dal codice di procedura penale per delitti non colposi per i quali il massimo della pena sia superiore a cinque anni). E restano valide le critiche relative alla severità e alla proporzionalità del reato in questione: l’invasione per profitto è punita con una pena molto minore (da 1 a 3 anni, da 103 a 1032 euro) rispetto al nuovo reato di invasione per raduni musicali.
Il primo provvedimento ufficiale del governo Meloni, il decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, introduce un nuovo reato: invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Nonostante la cronaca degli ultimi giorni abbia indotto molti, compresa la Presidente del Consiglio in conferenza stampa, a collegare il nuovo reato al rave party di Modena, è lecito dubitare che una festa, per quanto non autorizzata, sia davvero la ragione di simili scelte di politica penale. La perplessità non riguarda solo la rapidità di intervento normativa rispetto al suo pretesto, quanto il suo porsi in coerenza con i provvedimenti in materia di ordine pubblico varati, tre anni fa, dal governo gialloverde e dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, e in parte anche dal suo precedessore, Marco Minniti. In ogni caso, a prescindere dalle ragioni occulte o palesi dell’intervento normativo, bisogna ricordare che una legge è generale e astratta: riguarda tutti, non solo coloro contro i quali il legislatore del momento intende indirizzare la sua repressione. È il caso allora di lasciare da parte le opinioni e partire dai fatti. E i fatti, in materia giuridica, iniziano sempre dal testo della norma e dalla sua collocazione sistematica.

Cosa dice il decreto

L’articolo 5 del decreto 162/2022 incide su due codici: il codice penale, con l’introduzione dell’articolo 434-bis, e il codice antimafia (D.lgs. 159/2011), allargando l’applicazione delle misure di prevenzione anche “ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale”. Già questo duplice intervento lascia intendere il livello di offensività che il legislatore collega a un delitto simile, ma prima di affrontarne le implicazioni bisogna capire quale sia il fatto di reato. Il primo comma del nuovo art. 434-bis cp, nel definire l’azione delittuosa, la descrive così: L'invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica.
Tratto da valigiablu, di Bruno Saetta Da quando Twitter è stata comprata da Elon Musk, leggo molte persone sostenere che, in fondo, la caduta di Twitter era inevitabile: troppo tossico come social, troppe persone disfunzionali, troppi litigi, troppo hate speech, insomma un “luogo” irrecuperabile. In fondo meglio così, che cada, fallisca, chiuda. Chi vuole, chi ha qualcosa da dire veramente troverà i suoi spazi altrove. L’impressione, però, è che sia un’opinione un po’ fuori fuoco. Twitter è un social differente rispetto agli altri. Twitter e Instagram, ad esempio, seguono lo stesso modello di trasmissione, i tweet su Twitter e le foto su Instagram sono pubblici per impostazione predefinita, e chiunque può seguire chiunque, non ci sono limitazioni. Ma mentre Instagram è fondamentalmente basato sulle immagini, e quindi è principalmente votato a seguire marchi e influencer, Twitter rimane ancorato al testo (anche se si possono pubblicare immagini e video). Il cuore del servizio è il testo coi relativi link. La conseguenza immediata è che su Twitter, più che su qualsiasi altro social, è più facile seguire giornalisti, analisti, esperti, ma anche ovviamente odiatori seriali e propalatori di disinformazione. L’obiettivo di Twitter, la sua struttura, è di fornire informazioni, e la densità di informazioni su Twitter non ha uguali in nessuno altro social. Instagram è piacevole e rilassante, focalizzato sulle immagini che sono il centro dell'esperienza umana, Twitter invece è più intenso, basato sul testo si focalizza sul giornalismo, su ciò che accade nel mondo fisico, sia esso sport, o politica, o guerre. Ed è per questo che Twitter ha una base utenti decisamente inferiore a Instagram (circa 400 milioni contro 1,2 miliardi). Twitter non solo consente ai giornalisti di pubblicare storie per il pubblico, ma permette loro di tenere contatti con fonti, con altri giornalisti, con persone da seguire per approfondire le notizie (comunità accademiche e scientifiche). Twitter ha contribuito a far crescere il giornalismo indipendente e a far conoscere le voci non presenti sui media di massa, ha spinto molti giornalisti ad una maggiore obiettività (per timore di essere sbugiardati online). Inoltre ha consentito di recuperare il gap dei giornali che negli anni hanno cancellato le redazioni locali per questioni di budget.
Respinti i ricorsi contro l'obbligo di vaccino contro Covid-19 per il personale sanitario. Per la Consulta sono "non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico” Tratto da wired, di Kevin Carboni La Corte Costituzionale si è espressa sulla legittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale, introdotto nel 2021 come strumento per arginare la pandemia da Covid-19 e causa di forti polemiche e ricorsi giudiziari fin dai suoi primi giorni di “vita”. La vicenda:
  1. Il giudizio
  2. I ricorsi
  3. Evoluzione dell'obbligo vaccinale
A dicembre scattano le multe per chi non ha rispettato l'obbligo vaccinale
La sanzione da 100 euro interesserà le persone over 50 e il personale delle categorie per cui era previsto l'obbligo dei vaccini contro Covid-19, come personale sanitario, delle forze dell'ordine

Il giudizio

Come si legge in una nota, “la Corte ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali. Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario. Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico”.

I ricorsi

Contro la legittimità dell’obbligo vaccinale, si sono schierati i tribunali di Brescia, Catania e Padova, il Tar della Lombardia e il Consiglio di giustizia amministrativa della regione Sicilia. In particolare lo scontro si è acceso sul decreto legge del primo aprile 2021 numero 44 (convertito, con modifiche, dalla legge 28 maggio 2021, numero 76) e su quello del 24 marzo 2022 numero 24, che hanno istituito l'obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari, pena la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, fino al 31 dicembre 2022, ma fatto cessare dal governo Meloni il primo novembre scorso, con il decreto legge del 31 ottobre 2022, numero 162).

Nel tentativo di fronteggiare le critiche crescenti per le violazioni dei diritti umani, il governo di Doha gioca la carta del “volto buono”. Ma ancora una volta elude i temi più scottanti.

Tratto da rainews, di Vittorio di Trapani "Ho provato qualcosa di dolce e mi piacerebbe condividerla con te”. E’ questa la frase scritta sull'adesivo di un pacchetto che, passeggiando per Doha, si può ricevere in regalo da un bambino in abiti tradizionali qatarini, accompagnato dalla sua mamma. Anche lei vestita con consueto abito nero. Stessa scena all'uscita dello stadio di una delle partite dei Mondiali. Si tratta di dolci o di datteri. “Scopri la nostra identità”, c’è scritto sull'adesivo. E poi c'è un Qr Code. Scansionandolo, porta al sito web del Ministero delle donazioni e degli Affari islamici del governo del Qatar. In particolare ad una pagina che propone il testo “comprendere l’islam” in 6 lingue diverse. Quindi, evidentemente, non un regalo, una attenzione per i tifosi. Ma un altro pezzo di propaganda da parte del governo qatarino, e in qualche modo anche di proselitismo in favore dell’Islam. Che, è bene ricordarlo, è uno dei doveri in capo a ciascun musulmano. E, come tutte le propagande che si rispettino, passa attraverso i canali che possono maggiormente far abbassare le difese all'interlocutore: quindi, la scelta di far consegnare questo regalo da un bambino, accompagnato dalla mamma. Nessuna presenza maschile. Per mostrare il volto buono, più accogliente di questo Paese.
L'intervento della moderatora della Tavola Valdese, Alessandra Trotta Tratto da chiesavaldese Torre Pellice, 24 Novembre 2022 «Sul tema dell'accoglienza e della benedizione delle coppie omoaffettive, la Chiesa valdese ha espresso ripetutamente una posizione netta e cristallina». Così la moderatora della Tavola Valdese, Alessandra Trotta, interviene sulle affermazioni del senatore Lucio Malan (esponente di Fratelli d'Italia e membro della Chiesa valdese) a proposito di diritti delle coppie omoaffettive anche in rapporto alla Bibbia, per rispondere a chi si chiede come mai la Chiesa valdese non parli. «Deluderemo tutti coloro che si attendono censure pubbliche nei confronti del senatore Malan. La censura non fa parte del nostro modo di essere chiesa – dice Trotta –. Ma questo non significa che la nostra Chiesa non parli. La nostra Chiesa parla attraverso i pronunciamenti ufficiali del nostro Sinodo che, al termine di un ampio e partecipato processo di confronto e condivisione, ha espresso, sul tema dell’accoglienza e della benedizione delle coppie omoaffettive, una posizione cristallina e lo ha fatto non per cedimento allo "spirito del mondo", ma ponendosi con serietà e senso di responsabilità davanti alla Parola, con una interrogazione attenta delle Scritture e nella fiducia della guida dello Spirito santo; insomma da credenti».
Tratto da ilpost Lunedì circa 300 donne hanno manifestato a Varsavia, in Polonia, davanti alla casa di Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito di destra radicale Diritto e Giustizia che guida il paese dal 2015. La protesta era stata organizzata in seguito ad alcune dichiarazioni dello stesso Kaczynski, secondo cui il calo delle nascite in Polonia sarebbe riconducibile all’abitudine delle donne più giovani di bere troppo alcol, ma ha incluso anche una generale rivendicazione di maggior diritti, in modo particolare sui temi legati all’aborto. La polizia ha impedito alle manifestanti di avvicinarsi troppo alla casa di Kaczynski, mentre venivano urlati vari slogan e mostrati cartelli per chiederne le dimissioni.
L’elogio dell’umiliazione come dispositivo pedagogico è una triste novità: particolarmente grave, visto che proviene dal ministro che dovrebbe garantire una scuola libera e democratica per tutti Tratto da ilMulino, di Roberto Farné

Le recenti “esternazioni” del ministro dell’Istruzione (e del Merito, come ora viene definito), relativamente al rapporto fra giovani percettori del reddito di cittadinanza (RdC) e abbandono scolastico meritano qualche riflessione. Dice il ministro che dei 364.000 percettori del RdC nella fascia compresa fra 18 e 29 anni, 11.000 hanno solo la licenza elementare (o nemmeno quella) e 129 mila appena la licenza di scuola secondaria di primo grado. La conclusione del ministro è chiara: occorre portare questi soggetti (per amore o per forza, ma questo è un nostro inciso) a completare l’obbligo scolastico poiché, sono parole sue: «Questi ragazzi preferiscono percepire il reddito anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita». Inoltre, continua il ministro: «Il reddito collegato all’illegalità tollerata del mancato assolvimento dell’obbligo scolastico […] è inaccettabile moralmente: significherebbe legittimare e addirittura premiare una violazione di legge» (il video con l’intervista è su Youtube e il testo è sul sito del ministero dell’Istruzione).

Si delinea così una relazione diretta fra abbandono scolastico / RdC / illegalità (cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia). Tale relazione, che non neghiamo affatto possa esserci, andrebbe non solo “proclamata” ma dimostrata sulla base di dati, poiché in questi casi la quantità assumerebbe valore di qualità nel definire il fenomeno. Il quale fenomeno, anche se riguardasse poche decine di soggetti sarebbe comunque grave e andrebbe affrontato; ma come…? Facile togliere il RdC (questo è ciò che il governo comincerà a fare), più difficile riportare a scuola quei soggetti che la scuola l’hanno abbandonata anzitempo: che cosa è avvenuto nella loro vita da condurli a questa decisione?

<<Facile togliere il RdC, più difficile riportare a scuola quei soggetti che la scuola l’hanno abbandonata anzitempo: che cosa è avvenuto nella loro vita da condurli a questa decisione?>>

Non credo che il ministro pensi di rimandarli a scuola scortati dai Carabinieri. Questi processi vanno governati dal basso, non dall’alto. Vorrei ricordargli l’importante lavoro dei “maestri di strada” a Napoli e delle molte realtà del terzo settore che nel nostro Paese hanno lavorato e lavorano sul piano educativo per contrastare le condizioni di marginalità e devianza che portano spesso all’abbandono scolastico. Forse il ministro ignora che a queste realtà i fondi sono stati tolti in passato, e con il solo volontariato non possono sopravvivere, perché sono ambiti difficili in cui servono professionalità e continuità. Una proposta semplice: fare una ricognizione su queste realtà, individuare le migliori, promuoverne lo sviluppo, finanziarle adeguatamente, monitorarne i risultati, nel tempo necessario per avere risultati.

Quando alla fine degli anni Cinquanta del secolo passato ci si accorse che uno dei problemi dell’Italia era l’alto numero di adulti analfabeti o semianalfabeti, non si esitò a mettere in campo un progetto straordinario che coinvolgeva il ministero dell’Istruzione e la Rai: circa 2.500 Posti di Ascolto Televisivo sparsi nel Paese con altrettanti maestri-tutor e un programma TV affidato ad un maestro elementare, Alberto Manzi: si chiamava “Non è mai troppo tardi”. Ando in onda dal 1960 al 1968, si calcola che circa un milione e mezzo di italiani presero la licenza elementare grazie a quel progetto; a “Non è mai troppo tardi” nel 1965 fu assegnato il Premio Unesco come miglior programma televisivo per l’educazione. Intendo dire che se l’abbandono scolastico e i rischi conseguenti sono un’emergenza allora ci vuole coraggio, come si ebbe allora, il coraggio di un progetto che vada incontro a quelle persone, non che le punisca poiché la punizione, per chi la commina, non è un atto di coraggio e, per chi la subisce, assai spesso non è nemmeno efficace.

Quasi il 25% della popolazione è fuggita cercando opportunità all’estero. Eppure Maduro è ancora al potere e gode di un discreto consenso. La dimostrazione della schizofrenia di un mondo che a parole difende i diritti calpestati, ma poi... Tratto da Huffpost, di Alfredo Luís Somoza Del Venezuela non si parla ormai da molto tempo. Il Paese sudamericano è uscito dai riflettori dei media internazionali all’inizio della pandemia, per scomparire definitivamente con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Fondamentalmente ciò è accaduto perché gli Stati Uniti, fino a pochi anni fa impegnati in una campagna a tutto campo contro il governo di Nicolás Maduro, hanno concesso al Venezuela un’apertura che va letta integralmente nella logica della geopolitica del petrolio, scossa appunto dalla guerra Ucraina. È l’ennesima dimostrazione di come i diritti umani e politici si possano barattare senza rimorsi per garantirsi la continuità nei rifornimenti di materie prime strategiche. Sabato 26 novembre, a Città del Messico, l’opposizione e il governo venezuelano hanno raggiunto un accordo di minima per la ripresa del dialogo, agevolato dalla Norvegia in veste di mediatore e – soprattutto – dall’impegno statunitense sullo scongelamento dei capitali venezuelani all’estero, bloccati dalle diverse sanzioni accumulate negli anni dal Paese e dalla sua classe dirigente. I fondi dovrebbero essere investiti nella sanità e per l’alimentazione di un popolo ormai provatissimo: la crisi economica, infatti, risale addirittura a tempi precedenti alle sanzioni, quando fu innescata dall’incapacità dell’erede di Hugo Chávez di gestire l’economia nazionale. Intanto, il Venezuela è entrato nella storia come lo Stato americano che ha perso la maggior quota di popolazione nel minor tempo. Sono circa 7 milioni, secondo i dati delle Nazioni Unite, i venezuelani che negli ultimi 8 anni sono emigrati in altri Paesi latinoamericani, soprattutto Colombia e Perù, o verso gli Stati Uniti e l’Europa: significa che quasi il 25% della popolazione totale è fuggita cercando opportunità all’estero, un fenomeno che non si era mai verificato in tempi di pace. Eppure il governo di Maduro è ancora al potere e gode di un discreto consenso, ovviamente al netto dei dubbi sulla libertà di espressione e sulla trasparenza degli ultimi processi elettorali, come più volte denunciato.