Tratto da Volerelaluna di Domenico Gallo 1.

Secondo l’ultimo comunicato di Palazzo Chigi, il Consiglio dei Ministri ha «definito il percorso tecnico e politico per arrivare, in una delle prossime sedute del consiglio dei ministri, all’approvazione preliminare del disegno di legge sull’autonomia differenziata». In questo modo è stato messo sui binari il treno che porterà all’approvazione dell’insano progetto dell’autonomia differenziata sulla base della proposta di “legge di attuazione” dell’art. 116, 3 comma Costituzione presentata dal ministro Calderoli. Grazie all’attivismo del ministro leghista, il dibattito sull’autonomia differenziata è uscito fuori dalla clandestinità ed è diventato di pubblico dominio. Per questo è importante chiarire all’opinione pubblica in cosa consista l’autonomia differenziata e quali sono i pericoli che si prospettano.

Tratto da Il Messaggero

Sui social tantissime donne hanno raccontato la loro esperienza, definendo una "violenza ostetrica" il fatto di essere costrette ad andare oltre le loro possibilità per mancanza di aiuto.

«Non devi lamentarti, è tuo figlio. Sai quante ore senza sonno ancora avrai davanti?». E ancora: «Devi sforzarti, non puoi chiamare per queste cose, ora sei una mamma». Già una mamma. Come lo era la donna di  30 anni che  qualche giorno fa ha partorito il suo primo figlio all'ospedale Sandro Pertini di Roma. Emozionata ma stanca, dopo 17 ore di parto, si è addormentata con il suo piccolo tra le braccia e l'ha soffocato. La donna era sul letto con il neonato  che sarebbe dovuto essere rimesso in culla dopo l'allattamento, ma le cose non sono andate così. Ora quella mamma, "colpevole" di essere stremata da un lungo travaglio iniziato in piena notte e da un parto, ha perso il suo neonato a soli 3 giorni di vita. Ma la sua storia è quella di tante altre donne che sul web hanno condiviso le loro esperienze. Moltissime potevano essere lei, moltissime hanno rischiato la stessa tragedia lamentando che qualcosa sarebbe dovuto cambiare: «Se ad altre mamme non è capitato, è solo perché noi siamo state fortunate».

Tratto da Il Post 

All'interno di una causa di gruppo per le violenze e gli abusi compiuti nelle "scuole residenziali" tra Ottocento e Novecento.

Il governo canadese ha accettato di risarcire con 1,9 miliardi di euro (2,8 miliardi di dollari canadesi) le comunità indigene del paese per gli abusi commessi nelle cosiddette “scuole residenziali” istituite e gestite dal governo e dalla Chiesa cattolica tra la seconda metà dell’Ottocento e il Novecento. La decisione – che deve ancora essere approvata da un tribunale – sarebbe la conclusione di una causa legale collettiva portata avanti da 325 gruppi indigeni canadesi per le violenze e gli abusi compiute sui minori all’interno di quello che una commissione nazionale ha definito anni fa «un genocidio culturale».

Tratto da Editorialedomani di Dario Venegoni

Arriva il Giorno della memoria e già si alza il coro: non bisogna dimenticare!

E invece si è già dimenticato da un pezzo.

Gli oppositori politici, che costituivano la grande maggioranza delle vittime italiane dei lager nazisti, infatti, non trovano spazio alcuno nella narrazione pubblica: sono già dimenticati, anche dalle più alte cariche dello stato, che in occasione del 27 gennaio riservano la loro attenzione esclusivamente alla Shoah, lo sterminio degli ebrei.

I NUMERI

Per capirci, converrà provare a ricordare poche essenziali cifre. Gli italiani deportati nei campi gestiti dalle SS – Auschwitz, Mauthausen, Dachau, Ravensbrück e gli altri – che furono diversi dai campi di internamento dei militari o dai campi di lavoro, furono circa 40mila. Circa 8mila furono gli ebrei, interi gruppi famigliari, presi con anziani, donne e bambini, tutti ugualmente identificati come «nemici irreconciliabili» (definizione di Mussolini) del fascismo e del nazismo.

Gli altri, oltre 30mila, non erano ebrei; vennero bollati in grandissima maggioranza dai loro carnefici come "politici". Erano a vario titolo oppositori del fascismo e del nazismo; quelli, per usare una espressione di Liliana Segre, che avevano fatto la scelta di non essere indifferenti di fronte al fascismo.

Tratto da ValigiaBlu di Alessandra Vescio

Per uno studio sull’impatto che gli stereotipi di genere hanno sulla percezione del dolore, un gruppo di ricerca ha messo in atto due esperimenti. Nel primo, cinquanta partecipanti hanno guardato video di espressioni facciali di pazienti, uomini e donne, con infortuni alle spalle e differenti gradi di dolore, mentre svolgevano alcuni movimenti. Ai partecipanti è stato chiesto di valutare il livello di dolore che secondo loro i pazienti stavano provando su una scala da 0 a 100. Al secondo esperimento hanno partecipato 200 persone che, dopo aver visto i video, hanno risposto a una serie di domande sul tipo di trattamento consigliato ai singoli pazienti, tra cure contro il dolore e psicoterapia, e su come secondo loro uomini e donne manifestino e sopportino diversamente il dolore. I risultati, pubblicati su The Journal of Pain a marzo 2021, dimostrano come vi sia un vero e proprio pregiudizio nei confronti del dolore delle donne. A molte più pazienti donne che uomini infatti è stata consigliata la psicoterapia invece di una cura di contrasto al dolore, e il dolore stesso delle donne è stato anche percepito tendenzialmente come meno intenso rispetto a quello mostrato dai pazienti uomini.

Tratto da Open di Ygnazia Cigna

È scontro nella comunità scientifica sui farmaci per gli adolescenti transgender. «Infondate dal punto di vista scientifico e ingiustificatamente allarmistiche»: così endocrinologi, andrologi e pediatri hanno bollato il comunicato dei giorni scorsi della Società Psicanalitica Italiana (Spi) indirizzata alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al Ministro della Salute Orazio Schillaci e all’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). Firmata dal presidente della Spi, Sarantis Thanopulos, la nota esprimeva «grande preoccupazione e perplessità» per l’uso dei farmaci che bloccano lo sviluppo della pubertà, prescritti ai giovani che avviano la transizione di genere. Si tratta della prima società scientifica italiana che avanza criticità in merito e chiede di avviare una riflessione a riguardo. Non è tardata ad arrivare la reazione di altre organizzazioni mediche in una lettera congiunta a firma della Società Italiana di Endocrinologia (SIE), la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), la Società Italiana Genere, Identità e Salute (SIGIS), la Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS), e l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG).

Tratto da IlDubbio di Simona Giannetti

Ma io dico: quel velo in Iran è simbolo di una dittatura che uccide e tortura.

Quella del magistrato libero da simboli è una neutralità manifesta, che tutela chiunque gli si presenti innanzi per essere giudicato. È di questi giorni la notizia ripresa anche sulle pagine de Il Dubbio di una giovane donna, di origini arabe, che ha raccontato, come un suo sogno che si avvera, quello di diventare la prima “magistrata velata” in un’aula di giustizia. E’ chiaro che si deve fin da subito sgombrare il campo dall’ovvietà del diritto di ciascuno e di ciascuna di scegliere come vestirsi e se indossare o meno simboli di carattere politico o anche religioso.
Tratto da Open 

Giovanna Cristina Vivinetto ha ricevuto un risarcimento di 11 mila euro. Condannato l’istituto Kennedy di Roma.

Giovanna Cristina Vivinetto è stata allontanata nel 2019 dall’istituto paritario Kennedy di Roma per la sua condizione di transessuale. Ora la scuola dovrà risarcirla con 11 mila euro. Vivinetto racconta oggi in un’intervista a Il Messaggero di aver cominciato a lavorare il 23 settembre del 2019: «Sono stata licenziata il 14 ottobre. Praticamente sono stata in classe una decina di giorni in tutto. Dopo tre giorni di malattia, la preside mi ha convocata e mi ha detto che dovevo andar via perché mancavo di professionalità». Poi ha capito di essere stata discriminata in quanto transessuale. «La scuola sapeva della mia situazione. Anche perché nel curriculum era riportato il premio letterario che ho vinto. E lì parlavo proprio di questo. Sapevano tutto anche prima di assumermi. Qualcuno deve essersi lamentato e mi hanno licenziata». Ma la sua carriera come insegnante non si è conclusa: «Dopo il licenziamento nella scuola paritaria ho insegnato in due scuole pubbliche. Una media e una superiore di Roma. Mi hanno accolta senza alcun problema e con la massima discrezione. A settembre scorso sono entrata di ruolo. Sto facendo l’anno di prova come docente specializzata sul sostegno. Per me è un’esperienza bellissima. Voglio restare al fianco delle persone con difficoltà e tenterò anche il concorso per diventare preside». Mentre la sua famiglia «è sempre stata molto aperta. Ho un fratello gemello e siamo stati liberi di esprimerci. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta permettendomi di realizzarmi. La prima vera discriminazione l’ho subita in una scuola, ma quando ero già una professoressa».

Tratto da La Stampa di Serena Riformato

Davanti all’ambasciata della Repubblica islamica a Roma attivisti e cittadini hanno accompagnato la consegna della petizione de La Stampa. Il direttore Massimo Giannini ha depositato otto scatoloni con le sottoscrizioni.

“Mai dimenticare, mai perdonare”. Davanti all’ambasciata della Repubblica islamica a Roma attivisti e cittadini hanno accompagnato la consegna della petizione de La Stampa per chiedere il rispetto dei diritti umani dei manifestanti iraniani che da oltre cento giorni il protestano contro il regime degli ayatollah.

Ai piedi della porta dell’ambasciata il direttore de La Stampa Massimo Gianni ha depositato i dieci scatoloni contenti le oltre trecentomila firme raccolte per salvare la vita di Fahimeh Karimi. Le nostre, le vostre firme per chiedere di fermare le incarcerazioni ingiuste, le torture, le condanne a morte di chi in Iran manifesta pacificamente per cambiare il proprio Paese.

Tratto da Volere la luna Appello al Ministro della giustizia e all’Amministrazione penitenziaria

Alfredo Cospito è a un passo dalla morte nel carcere di Bancali a Sassari all’esito di uno sciopero della fame che dura, ormai, da 80 giorni. Detenuto in forza di una condanna a 20 anni di reclusione per avere promosso e diretto la FAI-Federazione Anarchica Informale (considerata associazione con finalità di terrorismo) e per alcuni attentati uno dei quali qualificato come strage pur in assenza di morti o feriti, Cospito è in carcere da oltre 10 anni, avendo in precedenza scontato, senza soluzione di continuità, una condanna per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi. Dal 2016 è stato inserito nel circuito penitenziario di Alta Sicurezza 2, mantenendo, peraltro, condizioni di socialità all’interno dell’istituto e rapporti con l’esterno. Ciò sino al 4 maggio 2022, quando è stato sottoposto al regime previsto dall’art. 41 bis ordinamento penitenziario, con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza, diminuzione dell’aria a due ore trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti. Per protestare contro l’applicazione di tale regime e contro l’ergastolo ostativo, il 20 ottobre scorso Cospito ha iniziato uno sciopero della fame che si protrae tuttora con perdita di 35 chilogrammi di peso e preoccupante calo di potassio, necessario per il corretto funzionamento dei muscoli involontari tra cui il cuore. La situazione si fa ogni giorno più grave, e Cospito non intende sospendere lo sciopero, come ha dichiarato nell’ultima udienza davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma: «Sono condannato in un limbo senza fine, in attesa della fine dei miei giorni. Non ci sto e non mi arrendo. Continuerò il mio sciopero della fame per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro».

Tratto da Il Fatto Quotidiano

La decisione, presa con un atto amministrativo ma che per il Pd ha "le impronte della giunta" di centrodestra, dispiegherà i suoi effetti dal prossimo mese di febbraio. La collaborazione con l'associazione, che ha garantito anche il diritto per alcune province e regioni limitrofe, erano in essere da 42 anni.

Le Marche, regione guidata da Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia, hanno cancellato la convenzione con l’Aied, in piedi da diversi decenni, per praticare l’aborto in una delle regioni con il tasso di obiettori di coscienza più alto d’Italia. La decisione, presa con un atto amministrativo ma che per il Pd ha “le impronte della giunta” di centrodestra, dispiegherà i suoi effetti dal prossimo mese di febbraio. La collaborazione con l’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica era iniziata nel 1981 e nel 2020, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, ha garantito 232 interruzioni di gravidanza nelle Marche su 1.351 aborti volontari in regione.

Tratto da Valigia Blu di Massimo Prearo La battaglia condotta contro il fu “DDL Zan” – che prevedeva “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” – ha rappresentato un momento cruciale della mobilitazione che gruppi quali ProVita & Famiglia o l’associazione Family Day, conducono da almeno una decina d’anni contro “la teoria del gender”, “l’ideologia gender”, “il gender”. Queste campagne fanno riferimento a un insieme eterogeneo di organizzazioni, gruppi, associazioni, e network digitali, ormai conosciuti e studiati come movimenti “anti-gender”, attivi anche a livello internazionale e transnazionale, in lotta contro le politiche che vanno nella direzione del riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQIA+.