Tratto da Il Dubbio di Errico Novi

Ieri sull’A1 si è assistito, tra teppisti del Napoli e della Roma, a una follia che rappresenta però anche un caso limite: lo dimostra la quasi totale scomparsa di scontri fra ultras all’interno degli stadi, dove le misure adottate negli ultimi anni funzionano.

Una coda di 15 chilometri sull’arteria autostradale più importante del Paese piacevole non è, soprattutto per chi ci capita in mezzo. E fa ribollire il sangue sapere che si è rimasti fermi perché due opposte bande di delinquenti, sconsiderati, pseudotifosi, o comunque li si voglia chiamare, hanno deciso di approfittare del campo neutro autostradale per consumare scontri altrimenti impossibili nel contesto “d’elezione”, lo stadio. Ma è proprio quest’ultimo dettaglio a meritare una riflessione.

Gli ultras, i cosiddetti ultras, in particolare quelli di Napoli e Roma che ieri si sono scontrati fra l’area di servizio Badia al Pino e la carreggiata dell’A1, da molti anni non trovano più l’occasione di entrare in contatto nella cornice legata alle partite. È dal 2014, per la precisione, dal tragico sparo con cui un supporter giallorosso, Daniele De Santis colpì il partenopeo Ciro Esposito, morto dopo 50 giorni di agonia: da allora gli incontri fra azzurri e giallorossi vengono disputati in modo che le frange estreme delle due tifoserie non possano guardarsi neppure da lontano. Molto semplicemente, le trasferte di romanisti a Napoli e napoletani a Roma sono precluse in modo assoluto a chi risieda, rispettivamente, nel Lazio e in Campania. E la misura ha perfettamente funzionato: perché i gruppi ultras sono radicati essenzialmente nelle regioni, se non proprio nelle aree metropolitane, della squadra di riferimento. Se è certo per esempio che il Napoli gode di un seguito di tifosi molto vasto anche in altre parti del Paese, soprattutto al Nord, è vero pure che il cosiddetto tifo militante, o violento, non è in grado di organizzarsi lontano dalla città dove ha sede la squadra, lontano da Napoli nel caso specifico. E così, la consueta presenza, nelle trasferte del Napoli a Roma, di partenopei che risiedono in Emilia o in Lombardia non ha mai prodotto, in questi otto anni, il benché minimo problema di ordine pubblico. Esattamente come nell’ultimo Napoli-Roma giocato a Fuorigrotta, nell’aprile dell’anno scorso, quando presero posto nel settore ospiti loro assegnato alcune decine di fan giallorossi, tutti con tessera del tifoso, nessuno dei quali residente nel Lazio. Erano romanisti di Napoli e di altre città della Campania, dove il club della Capitale ha sempre goduto di un qualche seguito. Nessun incidente, nessun tentativo di guerriglia fra bande rivali.

Tratto da La nuova ecologia

Legambiente: “Scudo e disposizioni penali pro Acciaierie d’Italia sono un inaccettabile macigno scagliato su ambiente e salute dei cittadini di Taranto”

“Lo scudo e le altre disposizioni penali contenute nel decreto governativo sugli impianti di interesse strategico nazionale, o -più banalmente- pro Acciaierie d’Italia, nonché ultimo ed ennesimo salva-Ilva, sono assolutamente ingiustificabili” – dichiarano Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, Ruggero Ronzulli, presidente di Legambiente Puglia e Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto – “Siamo di fronte a un atto che costituisce una grave manomissione dell’autonomia della magistratura cui si detta cosa può o non può fare e, con la paradossale scusa del “ragionevole” bilanciamento tra l’interesse all’approvvigionamento di beni e servizi essenziali per il sistema economico nazionale e valori costituzionalmente garantiti, si getta un inaccettabile macigno sul diritto all’ambiente e alla salute dei cittadini di Taranto”.

Tratto da MicroMega di Alessio Salviato

Le proteste servono a convincerci che l’unico modo che abbiamo per risolvere il problema è agire tutti e subito. Perché soffermarsi sul dito mentre gli attivisti ci indicano la luna?

Negli ultimi mesi abbiamo visto decine di attivisti ambientali lanciare vernice fresca contro i quadri esposti nei musei, bloccare le strade romane, impedire la partenza dei jet privati. Alcune settimane fa gli attivisti di “ultima generazione” hanno colpito anche la facciata del Teatro alla Scala. Di fronte a questi atti, la reazione di dissenso e condanna da parte della società civile sembra unanime – basta leggere qualche commento nei social network per cogliere la rabbia collettiva. Qualche forma di sostegno l’hanno ricevuta solo gli attivisti di Linate, complice il recente dibattito sull’inquinamento dei jet privati, rei di consumare in quattro ore l’equivalente di un cittadino medio in un anno.

Tratto da Valigia Blu di Alice Facchini

“Smettete di indorarvi la pillola!”, o meglio “Arrêtez de vous dorer la pilule!”, come si dice in francese. È proprio in Francia infatti che si è riaperto il dibattito su un tema che in Italia ancora fatica a trovare spazio: la contraccezione maschile. La scorsa estate il quotidiano francese Libération ha pubblicato in prima pagina un appello per chiedere al governo di portare avanti la discussione e la ricerca sugli anticoncezionali maschili. L’appello, accompagnato da una petizione online sulla piattaforma Change.org e da una campagna con l’hashtag #ContraceptonsNous, ha raccolto più di 31mila adesioni. Tra i primi firmatari ci sono medici, psichiatri, andrologi, attivisti, giornalisti e scrittori.

Nel paese già da alcuni anni esistono diversi collettivi di uomini che discutono delle opzioni a disposizione e cercano di creare consapevolezza su questo tema, per spingere la comunità scientifica a rendersi conto delle attuali esigenze delle coppie. Fino a oggi, infatti, sono state soprattutto le donne a farsi carico della contraccezione: esiste la pillola anticoncezionale, l’anello, il cerotto, il diaframma, la spirale, la pillola del giorno dopo e diverse altre opzioni. E per gli uomini? Le alternative sono poche e scarsamente impiegate, come vedremo.

In Italia la discussione sulla contraccezione maschile è ancora acerba. Emblematico è il fatto che l’ISTAT abbia pubblicato una rilevazione sulla salute riproduttiva della donna (e non degli uomini), quando nel frattempo è ancora difficile misurare anche solo quanti uomini usino regolarmente il preservativo. Nel capitolo sulla contraccezione femminile, i dati mostrano che il metodo più utilizzato dalle italiane sia proprio il preservativo (41%), seguito dalla pillola (27%) e dal coito interrotto (20%): quest’ultimo è considerato un metodo non sicuro secondo l’indice di Pearl, eppure siamo il Paese europeo che più lo pratica.

Nel 2016 anche la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) ha pubblicato un’indagine che mostra come solo il 30% degli intervistati ritenga che la contraccezione sia una responsabilità di entrambi nella coppia. Per ben il 62%, quasi 2 su 3, è un compito che riguarda solo e unicamente la donna. E in caso di gravidanza indesiderata, per il 41% si tratta di un “colpo basso” del partner.

Tratto da Comune Info

Denunciare l’apartheid israeliana contro la popolazione palestinese è un’attività politica, quindi non si può fare. Lo sostengono l’azienda dei trasporti di Torino e Mondadori a Milano, proprietarie degli impianti che ospitano pubblicità sui pannelli luminosi delle pensiline. La campagna non gradita è nata dal basso a Firenze per denunciare, anche sulla base del dossier di Amnesty International, le leggi e le violente pratiche di oppressione dello Stato ebraico che nega il diritto all’autodeterminazione – e ad esistere come popolo – ai palestinesi. Sulla possibilità di utilizzare il concetto di apartheid, non necessariamente identico a quello adottato fino al 1991 in Sudafrica, si veda anche l’ampia e bella recente intervista a Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati.

I pannelli luminosi che riportano la denuncia di Amnesty e la condanna dell'Apartheid israeliano devono spegnersi a Torino e mai accendersi a Milano.

I contratti stipulati sono stati rescissi e il danaro già versato sarà restituito.

L’Azienda Trasporti GTT, proprietaria degli impianti a Torino, non ammette messaggi di connotazione politica e Mondadori a MILANO inibisce il caricamento di messaggi con richiamo ad attività politiche.

Tratto da Il Fatto Quotidiano

La decisione, presa con un atto amministrativo ma che per il Pd ha "le impronte della giunta" di centrodestra, dispiegherà i suoi effetti dal prossimo mese di febbraio. La collaborazione con l'associazione, che ha garantito anche il diritto per alcune province e regioni limitrofe, erano in essere da 42 anni.

Le Marche, regione guidata da Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia, hanno cancellato la convenzione con l’Aied, in piedi da diversi decenni, per praticare l’aborto in una delle regioni con il tasso di obiettori di coscienza più alto d’Italia. La decisione, presa con un atto amministrativo ma che per il Pd ha “le impronte della giunta” di centrodestra, dispiegherà i suoi effetti dal prossimo mese di febbraio. La collaborazione con l’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica era iniziata nel 1981 e nel 2020, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, ha garantito 232 interruzioni di gravidanza nelle Marche su 1.351 aborti volontari in regione.

Tratto da La Nuova Ecologia

Presentati a Roma i dati del nuovo report realizzato da Legambiente. Nel 2021 accertati 30.590 illeciti. A livello provinciale, Roma prima per ecoreati.

Nel 2021 sono stati accertati 30.590 reati contro l’ambiente, una media di quasi 84 al giorno, circa 3,5 ogni ora. Un dato preoccupante e che continua a restare alto, nonostante la leggera flessione del -12,3% rispetto ai dati del 2020, mentre crescono gli arresti toccando quota 368, +11,9% rispetto al 2020. A dirlo è il nuovo report Ecomafia 2022, realizzato da Legambiente con il sostegno di Novamont ed edito da Edizioni Ambiente, presentato oggi a Roma insieme al nuovo restyling del sito noecomafia.it, strutturato come un vero e proprio centro di documentazione on line.

Sono 59.268 gli illeciti amministrativi contestati, con una media di 162 al giorno, 6,7 ogni ora. Sommati ai reati ambientali, raccontano di un Paese dove vengono accertate ogni ora circa 10 violazioni di norme poste a tutela dell’ambiente. Ad agevolare questa ondata di reati lo strumento della corruzione: 115 le inchieste censite da 16 settembre 2021 al 31 luglio 2022, con 664 persone arrestate, 709 persone denunciate e 199 sequestri. 14 i comuni sciolti per mafia nel 2021 e 7 nel 2022, a cui vanno aggiunti gli ultimi in ordine di arrivo, Anzio e Nettuno (RM). Dati che si traducono da una parte in ferite insostenibili per l’ambiente, la cui tutela dallo scorso 22 febbraio è entrata tra i principi fondamentali della Costituzione italiana, e dall’altra in un bottino d’oro per gli ecomafiosi che nel 2021 hanno fatturato 8,8 miliardi di euro.

Tratto da Jacobin di Carlo Greppi A Torino cento anni fa, dal 18 al 20 dicembre 1922, i fascisti uccisero impuniti numerosi oppositori. Fu la dimostrazione che il volto legalitario del regime nascente era indistinguibile dal profilo criminale.

Esordisco con una provocazione: inizia a fare una certa impressione, anche se non dovrebbe, avere una piazza intitolata a delle vittime del fascismo, e non a dei fascisti.

Una considerevole parte dei «segni» commemorativi del Ventennio, monumentali e odonomastici, infatti, inquina ancora il panorama della penisola. Se la fondamentale mappatura dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri quest’estate aveva già catalogato circa seicento luoghi, tra nomi di vie e monumenti, come anticipato su Jacobin dalla coordinatrice del progetto, la storica Giulia Albanese, mentre scrivo – metà dicembre 2022 – le occorrenze rilevate dal portale I luoghi della memoria dell’Italia fascista, continuamente aggiornato, sono ormai ben 1.456. Come scrivono la stessa Albanese e Lucia Ceci, curatrici de I luoghi del fascismo. Memoria, politica, rimozione (Viella, Roma 2022), nel passaggio tra XX e XXI secolo «il lascito di costruzioni del Ventennio è molto consistente e induce a riflettere sui modi diversi con cui la società italiana convive con simboli e miti di un’Italia che non esiste più […]. Nell’Italia di oggi, a cent’anni dalla nascita del regime, le difficoltà di storicizzare e risemantizzare i luoghi del fascismo sono un segnale delle oscillazioni in cui versa il paese nei suoi riferimenti identitari». A questo proposito, allo scoccare del centenario della «strage di Torino», conviene tornare sugli eventi e sui significati che uno dei più atroci fatti di sangue del «biennio nero», in realtà immediatamente successivo, svela ancora oggi. Partendo proprio da un luogo, piazza XVIII dicembre, per consuetudine (a mio modo di vedere inelegante, in questo caso) scritto in numeri romani, in pieno centro del capoluogo piemontese. La matrice di questa denominazione la si trova nella decisione del comune di Torino, tra il 1945 e il 1946, di avviare sessanta nuove intitolazioni o sostituzioni: l’elenco diramato a pochi mesi dal termine del secondo conflitto mondiale si apre proprio con piazza San Martino, che diventa così «piazza XVIII dicembre» nell’anno in cui viene anche posta una lapide in memoria delle vittime della strage; è ancora lì, all’angolo tra la piazza e via Cernaia, a pochi passi dall’ex ingresso della stazione ferroviaria di Torino Porta Susa, con la canonica scritta «Ai martiri dell’eterna libertà». La data, per chi ha familiarità con gli eventi di quegli anni sul piano nazionale ma non con questo specifico fatto di sangue locale, non può non saltare all’occhio: perché il 18 dicembre, con il fascismo al potere da oltre un mese e mezzo? Perché una strage, e perché a Torino?
Tratto da nev  Il 5 dicembre alla Sala Stampa della Camera è stata presentata la nuova edizione del Rapporto sullo stato dei diritti in Italia, un monitoraggio di diciassette diritti su cui dal 2014 l'associazione A buon diritto tiene alta l'attenzione. L'avvocata Ilaria Valenzi ha curato la parte sul pluralismo religioso. Roma (NEV), 7 dicembre 2022 – Presentato il rapporto annuale sullo stato dei diritti in Italia, a cura dell’associazione A buon diritto e con il contributo dell’Otto per mille valdese.
I contenuti della pubblicazione sono stati illustrati il 5 dicembre scorso, in una conferenza stampa alla Camera, alla quale sono intervenute le parlamentari Ouidad Bakkali, Rachele Scarpa, Cecilia d’Elia, Susanna Camusso e il parlamentare Riccardo Magi.
Il Manifesto del Parlamento dei diritti a oggi è stato firmato da una trentina di parlamentari.