Tratto da Amnesty International “Gravi violazioni dei diritti umani continuano senza sosta sia in Algeria che in Marocco, mentre molte delle leggi in entrambi i paesi sono ben lontane dall’essere allineate agli standard internazionali” ha dichiarato oggi Amnesty International, a seguito della 52ª revisione periodica universale (Upr) sul rispetto dei diritti umani delle Nazioni Unite sui relativi obblighi di ciascuno stato.
Tratto da Amnesty  L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia ha dato luogo a numerosi crimini di guerra, ha generato una crisi energetica globale e ha favorito un’ulteriore frattura di un sistema multilaterale già indebolito. Ha anche messo in evidenza l’ipocrisia degli stati occidentali, che hanno reagito con forza all’aggressione russa ma hanno condonato, o ne sono stati complici, gravi violazioni dei diritti umani altrove. Il “Rapporto 2022-2023. La situazione dei diritti umani nel mondo”, presentato oggi da Amnesty International (pubblicato in Italia da Infinito Edizioni) rivela come i doppi standard e le risposte inadeguate alle violazioni dei diritti umani nel mondo abbiano alimentato impunità e instabilità, come nel caso dell’assordante silenzio sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, della mancanza d’azione rispetto a quella dell’Egitto e del rifiuto di contrastare il sistema di apartheid israeliano nei confronti dei palestinesi.
Tratto da Avvenire di Eugenio Fatigante Una di quelle piccole storie di grande coraggio che però hanno inciso nel profondo del vissuto delle donne in Italia. E’ la storia di Franca Viola che ad Alcamo, nella Sicilia ancora arcaica del 1966, fu la prima a rifiutare il “matrimonio riparatore” (previsto dalle leggi dell'epoca dopo quella che sull’isola viene chiamata “fuitina” fra due giovani), portando la vicenda in un’aula di tribunale e contestando al suo rapitore e stupratore di essere stata consenziente. Una eroina, Franca (tuttora vivente), che ha fatto tanto per tutte le donne e che è meno conosciuta di quanto meriterebbe. Protagonista di una vicenda conclusa di fatto solo nel 1981 quando il “matrimonio riparatore”, che prima estingueva addirittura il reato di stupro, venne definitivamente cancellato dal codice penale. Pare un’eternità fa, sul piano culturale e del costume, eppure in fondo sono passati “appena” 40 anni.
Tratto da MicroMega di Giuliana Sgrena

Celebrare l’International hijab day mentre le donne iraniane – e non solo le donne – mettono a rischio la loro vita per eliminare il chador è una sconfitta culturale e politica di chi, in occidente, sostiene di difendere i diritti delle donne. Paradossalmente in occidente si difende il diritto di portare il velo mentre nei paesi musulmani le donne lottano per il diritto a non portarlo.

Tratto da ONU Italia

Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) riguardano tutti quei procedimenti che coinvolgono la rimozione, totale o parziale, degli organi genitali femminili esterni. Questa pratica non viene applicata per scopi di natura medica, bensì per motivi culturali. Sono numerose le complicazioni, a breve e lungo termine, sulla salute di coloro che sono soggette a questa usanza. Tra le peggiori, vi è la morte. Sebbene le MGF siano riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica prima del 2030.

La problematica delle MGF, sebbene diffusa principalmente in 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, è universale. Infatti, questa usanza è comune anche in alcuni Paesi dell’America Latina e dell’Asia. Non sono da escludere, inoltre, l’Europa occidentale, l’America del Nord, l’Australia e la Nuova Zelanda dove le famiglie immigrate continuano a rispettare questa tradizione.

Tratto da Il Messaggero

Sui social tantissime donne hanno raccontato la loro esperienza, definendo una "violenza ostetrica" il fatto di essere costrette ad andare oltre le loro possibilità per mancanza di aiuto.

«Non devi lamentarti, è tuo figlio. Sai quante ore senza sonno ancora avrai davanti?». E ancora: «Devi sforzarti, non puoi chiamare per queste cose, ora sei una mamma». Già una mamma. Come lo era la donna di  30 anni che  qualche giorno fa ha partorito il suo primo figlio all'ospedale Sandro Pertini di Roma. Emozionata ma stanca, dopo 17 ore di parto, si è addormentata con il suo piccolo tra le braccia e l'ha soffocato. La donna era sul letto con il neonato  che sarebbe dovuto essere rimesso in culla dopo l'allattamento, ma le cose non sono andate così. Ora quella mamma, "colpevole" di essere stremata da un lungo travaglio iniziato in piena notte e da un parto, ha perso il suo neonato a soli 3 giorni di vita. Ma la sua storia è quella di tante altre donne che sul web hanno condiviso le loro esperienze. Moltissime potevano essere lei, moltissime hanno rischiato la stessa tragedia lamentando che qualcosa sarebbe dovuto cambiare: «Se ad altre mamme non è capitato, è solo perché noi siamo state fortunate».

Tratto da ValigiaBlu di Alessandra Vescio

Per uno studio sull’impatto che gli stereotipi di genere hanno sulla percezione del dolore, un gruppo di ricerca ha messo in atto due esperimenti. Nel primo, cinquanta partecipanti hanno guardato video di espressioni facciali di pazienti, uomini e donne, con infortuni alle spalle e differenti gradi di dolore, mentre svolgevano alcuni movimenti. Ai partecipanti è stato chiesto di valutare il livello di dolore che secondo loro i pazienti stavano provando su una scala da 0 a 100. Al secondo esperimento hanno partecipato 200 persone che, dopo aver visto i video, hanno risposto a una serie di domande sul tipo di trattamento consigliato ai singoli pazienti, tra cure contro il dolore e psicoterapia, e su come secondo loro uomini e donne manifestino e sopportino diversamente il dolore. I risultati, pubblicati su The Journal of Pain a marzo 2021, dimostrano come vi sia un vero e proprio pregiudizio nei confronti del dolore delle donne. A molte più pazienti donne che uomini infatti è stata consigliata la psicoterapia invece di una cura di contrasto al dolore, e il dolore stesso delle donne è stato anche percepito tendenzialmente come meno intenso rispetto a quello mostrato dai pazienti uomini.

Tratto da Valigia Blu Primo febbraio 2021: Sonia Di Maggio, 29 anni, viene accoltellata dall’ex partner mentre si trova per strada col nuovo compagno a Specchia Gallone, 40 chilometri a sud di Lecce. 22 febbraio 2021: Deborah Saltori, 42 anni, viene uccisa a Cortesano, in provincia di Trento, aggredita con un’accetta dall’ex marito, che poi tenta il suicidio. 24 dicembre 2021: Emanuela Rompietti viene colpita con un colpo di pistola dal marito nella loro villetta ad Amelia, in Umbria. Ha 80 anni ed è malata di Alzheimer. Sono alcune delle storie contenute nell’Atlante dei femminicidi in Italia, la prima piattaforma che, su base cartografica, mette insieme i dati sui femminicidi, per facilitare la loro analisi e l’elaborazione di strategie di prevenzione. Il progetto è stato realizzato dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna insieme allo studio di grafica cartografica Atlantis, con il finanziamento della regione Emilia-Romagna e del Comune di Bologna: sulla piattaforma è possibile esplorare una mappa interattiva, costruita a partire dai casi di cronaca apparsi sulla stampa e censiti dall’associazione. Nel 2021 il numero complessivo di femminicidi rilevati è stato di 106, dato in leggero aumento rispetto agli anni precedenti: erano 96 nel 2019 e 102 nel 2020. “Certamente il numero è sottostimato, perché alcuni casi sfuggono alla cronaca”, spiega Anna Pramstrahler della Casa delle donne per non subire violenza. “Il sommerso colpisce in particolare le donne più fragili, come le migranti, le trans, le sex workers, le vittime di tratta e sfruttamento, le donne anziane o malate”. Da ottobre 2021, un gruppo di ricerca della Casa delle donne ha iniziato a mettere insieme la banca dati da cui poi è stato sviluppato l’Atlante, che permette di geolocalizzare i femminicidi e di categorizzarli in base a diversi parametri: la relazione con l’assassino, le violenze pregresse, le denunce presentate, l’età e la provenienza di vittima e aggressore, oltre che la causa scatenante. “Ma in realtà il vero e più profondo movente è sempre lo stesso: la condizione stessa di essere donna, e la volontà di possesso da parte dell’uomo”, spiega Margherita Apone, che ha fatto parte del gruppo di ricerca della Casa delle donne.