La clausola da inserire in Costituzione è stata approvata alla Camera Bassa, grazie a un compromesso storico tra i centristi e la sinistra radicale. Più difficile il passaggio al Senato

Tratto da luce, di Graziano Davoli  “La legge garantisce l’efficacia e la parità di accesso al diritto di interrompere volontariamente una gravidanza” recita così la clausola, da inserire in Costituzione, approvata con 337 voti favorevoli, 32 contrari e 18 astenuti all’Assemblea nazionale francese. La risoluzione è frutto di un compromesso storico d’Oltralpe tra i centristi di Reinassance, partito del presidente Emmanuel Macron, e la sinistra radicale di La France insoumise, partito di Jean-Luc Mélenchon, che porta la Francia ad un passo dall’essere il primo Paese nel mondo a riconoscere l’aborto come diritto costituzionale. “Ci vorrebbe solo una crisi politica, economica o religiosa per mettere in discussione i diritti delle donne”, ha commentato entusiasta Mathilde Panot, capogruppo di La France insoumise alla Camera Bassa. La palla passa ora al Senato e qui le cose potrebbero complicarsi. La Camera Alta vede, infatti, la maggioranza dei seggi in mano alla destra neogollista dei Rébuplicains che, lo scorso ottobre, aveva già respinto la prima proposta. I conservatori non sono da soli, con loro anche l’estrema destra. Dal Rasemblement National di Marine Le Pen, che durante l’ultimo raduno del suo partito ha definito la proposta come “completamente fuori luogo”, sostenendo che il diritto all’aborto non è minacciato in Francia, al movimento Reconquête di Eric Zemmour per cui questa legge sarebbe “una perdita di tempo, pericolosa e inutile”. Ma il vento soffia in un’altra direzione come dimostra un sondaggio di Ifop commissionato dal think tank della Fondation Jean-Jaurès. Otto francesi su dieci sono favorevoli ad autorizzare l’aborto per legge, l’83% della popolazione ritiene che il diritto vada ulteriormente protetto attraverso una garanzia costituzionale.
Tratto da ekuonews TERAMO – Abbiamo appreso dalla stampa che l’Istituto Agrario di Piano d’Accio ospiterà una Cappellania scolastica Diocesana e vi si faranno diversi incontri su tematiche riguardanti: ”La nuova questione di Dio”. Lo ha dichiarato con entusiasmo la dirigente scolastica dell’IIS Di Poppa – Rozzi. L’intento sarebbe quello di consentire ai ragazzi di “raccogliersi in preghiera” e di fare “incontri  e riflessioni sui temi a loro più cari”. Si tratta di una decisione che non condividiamo e che ci preoccupa molto. Per una serie di ragioni. Innanzitutto ricordiamo che le attività nella scuola vengono decise  nel Piano dell’Offerta Formativa, deliberato dal Collegio dei docenti ed adottato dal Consiglio d’istituto. Non dall’ufficio diocesano per la pastorale. Non c’è traccia di alcuna discussione in merito a tale questione negli organi collegiali di questa scuola. E’ mancato qualsiasi coinvolgimento degli studenti e delle studentesse per verificare, eventualmente, quali fossero i temi di riflessioni “a loro più cari”. Non è stato previsto alcun incarico al personale ausiliario della scuola, considerato che si usa uno spazio interno, né sono state  stabilite regole per il suo utilizzo.
Tratto da RaiNews, di Roberto Montoya

L'emblematica e controversa leader delle Madri di Plaza de Mayo affrontò la dittatura militare durante gli anni di piombo in Argentina. L'intervista a Leonardo Castillo

Si è spenta domenica scorsa all'età di 93 anni Hebe de Bonafini, presidente e fondatrice dell'Associazione Madri di Plaza de Mayo, con il fazzoletto bianco, protagonista centrale delle prime manifestazioni per i 30.000 detenuti-desaparecidos rapiti durante la dittatura militare tra il 1976 e il 1983, mantenendo l'impegno della lotta fino alla fine dei suoi giorni. Hebe María Pastor de Bonafini ha iniziato il suo lavoro come presidente dell'Associazione Madri di Plaza de Mayo nel 1979, dopo il rapimento e la scomparsa dei propri figli, in cui si è distinta per la lotta per i diritti umani, contro l'impunità dei colpevoli di crimini contro l'umanità, unitamente alla rivendicazione della militanza rivoluzionaria dei detenuti, dei desaparecidos e degli assassinati. Ha sempre detto di essere stata una normale casalinga, fino a quando la dittatura le ha tolto i due figli, fatto che l'ha trasformata in una grande combattente. Il presidente argentino Alberto Fernández ha decretato tre giorni di lutto nazionale alla "memoria" di Hebe, simbolo internazionale della lotta per i Diritti Umani, la ricerca della verità e della giustizia, che ha permesso di risalire all'identità di oltre 100 bambini sottratti a giovani madri, vittime di carcerazione, sparizione forzata ed esecuzioni extragiudiziali durante i sette anni della dittatura in Argentina. Bonafini era diventata un'icona della sinistra globale, i cui leader piangono oggi la sua scomparsa, ma anche per le sue espressioni di lode rivolte a personaggi della storia latinoamericana controversi come Che Guevara, Fidel Castro, e Hugo Chávez. I messaggi che esprimono le condoglianze per la morte dell’attivista argentina arrivano da tutte le parti, anche dai vescovi della Conferenza episcopale argentina (CEA). Anche Papa Francesco ricorda “l’audacia e il coraggio, in momenti in cui prevaleva il silenzio, che hanno contribuito a mantenere viva la ricerca della verità e della memoria”. Giovedì 24 novembre in Plaza de Mayo, nel luogo dove si svolge il tradizionale appuntamento dei desaparecidos, verranno sparse le ceneri di Hebe, come da sua volontà. Sarà un giorno di grande commemorazione e di mobilitazione in piazza. Abbiamo incontrato Leonardo Castillo, capo politico dell’Agenzia Télam, Argentina. Il presidente argentino Alberto Fernández ha decretato tre giorni di lutto nazionale alla "memoria" di Hebe de Bonafini, Presidente delle Madri di Plaza de Mayo, scomparsa domenica scorsa all'età di 93 anni. Che profilo può darci di lei? Hebe ha accompagnato l’esistenza di noi ultra quarantenni, e di oltre tre generazioni di argentini. È  stata fondamentale per la nostra educazione civica. Ha lottato per la memoria, la verità, la giustizia e per denunciare la dittatura. La sua integrazione nel movimento per i diritti umani ha affrontato la dittatura genocida. La sua impronta ha lasciato un segno nelle nostre generazioni. Abbiamo perso un riferimento politico e sociale di enorme importanza. Hebe soffrì molto per la scomparsa dei due figli nel 1977. Fu allora che si unì alla lotta delle madri di Plaza de Mayo, dove emerse come punto di riferimento, diventando poi leader del gruppo. Da allora ha rappresentato una figura fondamentale per il movimento dei diritti umani e per tutti coloro che si sono formati nel fervore di quella che fu la democrazia instauratasi nel dicembre 1983.

Tratto da Pressenza  Mille firmatari per una proposta che farà storia Sono più di mille i primi firmatari del progetto Una Montagna Sacra per...

Tratto da ilManifesto, di Manuela Manera A livello individuale la dimenticanza si può perdonare. È però grave se avviene in un articolo giornalistico, perché mette in luce o una scarsa competenza o, peggio, un uso strumentale delle informazioni. Quando Ricolfi su Repubblica afferma che è sufficiente l’indicazione di Meloni di essere chiamata al maschile per “scatenare critiche, battute, ironie” compie un atto tendenzioso, tacendo la storia di un dibattito che in Italia è vivo da quasi 40 anni (A. Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, 1987). È reticente anche nel ricordare l’antecedente opposto, quello di Boldrini che volle per sé il femminile e fu oggetto di hate speech. In questi ultimi anni le polemiche sono state soprattutto sulle strategie tese a garantire una giusta rappresentazione a tutte le soggettività, introducendo nuovi simboli come l’asterisco (es. ragazz*) o la schwa (es. ragazzə). Strategie in uso già da una decina d’anni in gruppi ristretti e che ora si stanno diffondendo per libera scelta di chi costruisce una comunicazione e la vuole rispettosa delle differenze. Ricolfi confonde le battaglie per il riconoscimento dell’identità di genere (quindi la scelta di come nominarsi, se al maschile, al femminile o altro) con l’opportunismo di chi ricorre al maschile solo in certi momenti. Nel caso di Meloni – ma non è la sola – la scelta non riguarda la sua identità di genere ma un ruolo che lei interpreta in modo machista; tant’è che si rivendica donna, madre, cristiana, e in questi casi non declina al maschile. La sua è la sottolineatura, nel solco di una cultura patriarcale fortemente rivendicata, che il maschile è portatore di prestigio, il femminile no.
Tratto da Repubblica, di Lorenzo Sangermano Il senatore di Fratelli d'Italia ritorna sull'argomento dopo la dura opposizione contro il ddl Zan. Risponde Calenda: "Considerazioni indegne e sintomo di una profonda ignoranza". Pina Picerno: "Abominevole chi la pensa come lui". Gelmini: "Al senatore devono essere sfuggite le affermazioni di Papa Francesco". Malpezzi (Pd): "Fdi si dissoci", Della Vedova: "Destra reazionaria e illiberale". Malan replica: "Frainteso, mai detto quelle cose" Incalzato dai microfoni di Rai Radio1, il senatore Lucio Malan, compagno di partito della premier Meloni, si sbilancia e chiarisce la motivazione della sua fuga da Forza Italia, forza politica di Silvio Berlusconi. "Il motivo principale per cui sono passato a FdI? Ad esempio la posizione del governo Draghi sulla legge Zan, a cui io sono contrario", chiarisce il senatore. Un'opposizione già esposta nel percorso parlamentare del disegno di legge del senatore Pd Alessandro Zan e che, per Malan, trova giustificazione nella sua fede. Membro della chiesa valdese, istituzione favorevole ai matrimoni omosessuali, Malan si allontana dal credo della sua comunità. "Ma non abbiamo il dovere di obbedienza, - secondo il senatore - la chiesa Valdese è fondata sulla Bibbia e non sulla gerarchia". Per l'ex forzista la posizione nasce dall'autorità stessa della Bibbia. Infatti, nonostante nel testo sacro non vi sia alcun riferimento ai matrimoni omosessuali, "C'è scritto di peggio - continua Malan - ed in modo anche più esplicito. Non sui matrimoni ovviamente, a cui nessuno aveva pensato duemila anni fa". Una cosa però per il senatore è scritta nel testo sacro. "C'è scritto che l'omosessualità è un abominio, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento".

Calenda: "Considerazioni indegne"

Alle dichiarazioni del parlamentare di Fratelli d'Italia è seguita la risposta del leader di Azione Carlo Calenda. "Non so come qualificare queste esternazioni. Personalmente le considero indegne e sintomo di una profonda ignoranza. Se le nostre regole derivassero dal Vecchio Testamento - continua Calenda - non saremmo molto diversi dai talebani. Per fortuna abbiamo avuto il Vangelo e lo Stato laico". Dall'Europa si fa sentire la vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picerno, membro del Partito Democratico. Per l'europarlamentare, invece che vedere come il senatore un abominio nell'omosessualità, "l'unica cosa abominevole è la gente che la pensa come Malan".
Un ddl oltre il grottesco propone 20mila euro di sconto ma solo per chi sceglie il parroco: poi la retromarcia, ma la crisi di Salvini & co è palese Tratto da Wired, di Simone Cosimi A un mese dal decollo del nuovo governo la Lega è già alla frutta dei bonus matrimoni. Solo quelli celebrati in chiesa, s’intende, non sia mai che la laicità dello Stato riesca a far breccia nella brodaglia pseudocattolica tutta crocefissi e preghierine di Matteo Salvini e compagnia. C’è da dire che il bonus da massimo 20mila euro è un’iniziativa parlamentare: c’è un disegno di legge, depositato domenica sera, di cui si è discusso non poco nelle ultime ore e che potrebbe serenamente finire in un vicolo cieco. Oppure no: in fondo lo storytelling del provvedimento non dev’essere poi troppo sgradito alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che pure sembra preferirebbe passare da misure più concrete come il (sacrosanto) taglio dell’Iva sui prodotti per l’infanzia o l’irrobustimento dell’assegno unico famigliare, sarebbe meglio per tutti ma per ora per i nuclei più numerosi.
Tratto da ilMulino, di Renzo Guolo Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta impossibile, ma la sua fine. Il che muta anche natura e intensità della repressione
La rivolta innescata dalla morte di Mahsa Amini è sfociata in una crisi senza precedenti nella Repubblica islamica d’Iran. Centinaia di vittime e migliaia di arresti costituiscono il provvisorio bilancio di un sommovimento che scuote alle fondamenta il regime. Alla protesta delle giovani donne urbane contro la biopolitica islamista fondata sul controllo sociale del corpo femminile, simboleggiata dal disvelamento pubblico di massa, dal taglio di quei capelli che, secondo il regime, vengono esibiti “ostinatamente” dalle bad hejab (le “mal velate”), trasformando la seduzione in sedizione, si è saldata quella degli uomini. In strada scendono ormai non solo donne ma anche molti uomini, le une e gli altri di diversa condizione sociale e differenti etnie.
Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta impossibile, ma la sua fine. E ciò muta anche natura e intensità della repressione. Negli scorsi decenni nella Repubblica islamica non sono mancate forti fibrillazioni: dallo scontro tra conservatori e riformisti durante l’era Khatami alla protesta dell’Onda verde contro il “colpo di Stato nelle urne” che ha confermato Ahmadinejad alla presidenza, sino ai moti contro il carovita repressi nel sangue. Ma la situazione in corso assume i tratti di una vera e propria crisi di legittimazione. In discussione non vi è solo un indirizzo politico, o una stretta più o meno rigida dei costumi, bensì la stessa natura del regime. Come rivela un gesto che, in altre circostanze, poteva sembrare solo un’irridente pratica goliardica: lo schiaffo che, per strada, fa volare via il turbante dei chierici sciiti. Oltraggio che esprime, anche plasticamente, la fine della sacralità del potere. <<In discussione non vi è solo un indirizzo politico, o una stretta più o meno rigida dei costumi, bensì la stessa natura del regime>>
Tratto da unaparolaalgiorno, di Salvatore Congiu ra-gió-ne SIGNIFICATO Facoltà umana di discernere, stabilire connessioni logiche tra idee e formulare giudizi, che è base della conoscenza

ETIMOLOGIA dal latino ratio ‘calcolo ragione’, derivato di ratus, participio passato di reri ‘calcolare, ritenere, considerare’.

  • «Hai ragione tu.»
Avere l’uso della ragione (facoltà del pensiero), esporre le proprie ragioni (argomentazioni), avere ragione (essere nel giusto), avere ragione dei nemici (imporsi, vincere), chiedere ragione (conto) di qualcosa, non avere ragione (motivo) di essere, in ragione (in proporzione) diretta o inversa, ragione sociale (nome commerciale indicante anche i rapporti tra i soci), e infine i Palazzi della Ragione (tribunali) di città come Padova e Vicenza. È strabiliante la quantità di accezioni di questa parola, e ancor più che derivino tutte dal significato di base del latino ratio, rationis – calcolo, conto – da cui si passa al bilancio, e quindi alla proporzione, al rapporto tra due quantità, e alla regola, al criterio (perciò parliamo di extrema ratio, e in inglese ratio – pronunciato grossomodo réscio – significa appunto ‘rapporto, proporzione’). Ma dove c’è calcolo, ovviamente, c’è interesse, tornaconto, che ognuno – quando cerca di ‘far valere le proprie ragioni’ – rivendica come diritto soggettivo, che volentieri però si afferma come oggettivo, come giustizia. Anche alla ragione come facoltà del pensiero si arriva tramite il calcolo: calcolare è stimare e discernere, e non a caso raccolta e selezione dei dati sono etimologicamente alla base dell’intelligenza (inter legere: trascegliere, distinguere). In quanto principio, legge razionale della realtà, poi (analogamente al greco logos, di cui era la traduzione), era naturale che la ratio potesse anche rappresentarne la causa, il criterio di spiegazione. Per contro, non sorprende che in quanto raccolta, organizzazione ed esposizione dei dati (ragionamento, appunto), la ragione come facoltà intellettiva non sia stata ritenuta, in ambito filosofico, fonte di conoscenza suprema: la ratio latina corrispondeva alla diànoia greca, ossia al pensiero discorsivo, che procede per sillogismi, mediazioni, ricavando conclusioni da premesse; ma la conoscenza più alta, per Platone e Aristotele, era la nóesis, l’intuizione intellettiva, la quale coglie in modo in-mediato la verità dei principî fondamentali del pensiero e dell’essere.
Tratto da riforma, di Alessio Lerda  Intervista al presidente Armando Augello Cupi

Sono almeno tremila gli apolidi che vivono sul territorio italiano, persone prive dei documenti che garantiscano loro una cittadinanza e che si trovano così in un limbo che rende complicato, se non impossibile, l’accesso a diversi diritti fondamentali come istruzione, sanità pubblica, misure di protezione sociale e lavoro.

Per questo è nata ora l’Unione Italiana Apolidi (UNIA) e abbiamo parlato con il presidente, Armando Augello Cupi, delle principali istanze. Intanto si vuole arrivare ad una maggiore contezza rispetto al numero degli apolidi nel paese, ma allo stesso tempo fare pressione sulle istituzioni affinché rendano più facili i processi burocratici verso l’ottenimento della cittadinanza, che spesso si prolungano per molti anni.

In questi primi giorni di vita l’UNIA non ha ricevuto riscontri dalle forze politiche, ma sono fioriti contatti con persone apolidi che chiedono assistenza e con associazioni ed enti che potrebbero aiutare la missione dell’Unione.