Tratto da Open di Ygnazia Cigna

È scontro nella comunità scientifica sui farmaci per gli adolescenti transgender. «Infondate dal punto di vista scientifico e ingiustificatamente allarmistiche»: così endocrinologi, andrologi e pediatri hanno bollato il comunicato dei giorni scorsi della Società Psicanalitica Italiana (Spi) indirizzata alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al Ministro della Salute Orazio Schillaci e all’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). Firmata dal presidente della Spi, Sarantis Thanopulos, la nota esprimeva «grande preoccupazione e perplessità» per l’uso dei farmaci che bloccano lo sviluppo della pubertà, prescritti ai giovani che avviano la transizione di genere. Si tratta della prima società scientifica italiana che avanza criticità in merito e chiede di avviare una riflessione a riguardo. Non è tardata ad arrivare la reazione di altre organizzazioni mediche in una lettera congiunta a firma della Società Italiana di Endocrinologia (SIE), la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), la Società Italiana Genere, Identità e Salute (SIGIS), la Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS), e l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG).

Tratto da La Stampa di Serena Riformato

Davanti all’ambasciata della Repubblica islamica a Roma attivisti e cittadini hanno accompagnato la consegna della petizione de La Stampa. Il direttore Massimo Giannini ha depositato otto scatoloni con le sottoscrizioni.

“Mai dimenticare, mai perdonare”. Davanti all’ambasciata della Repubblica islamica a Roma attivisti e cittadini hanno accompagnato la consegna della petizione de La Stampa per chiedere il rispetto dei diritti umani dei manifestanti iraniani che da oltre cento giorni il protestano contro il regime degli ayatollah.

Ai piedi della porta dell’ambasciata il direttore de La Stampa Massimo Gianni ha depositato i dieci scatoloni contenti le oltre trecentomila firme raccolte per salvare la vita di Fahimeh Karimi. Le nostre, le vostre firme per chiedere di fermare le incarcerazioni ingiuste, le torture, le condanne a morte di chi in Iran manifesta pacificamente per cambiare il proprio Paese.

Tratto da Volere la luna Appello al Ministro della giustizia e all’Amministrazione penitenziaria

Alfredo Cospito è a un passo dalla morte nel carcere di Bancali a Sassari all’esito di uno sciopero della fame che dura, ormai, da 80 giorni. Detenuto in forza di una condanna a 20 anni di reclusione per avere promosso e diretto la FAI-Federazione Anarchica Informale (considerata associazione con finalità di terrorismo) e per alcuni attentati uno dei quali qualificato come strage pur in assenza di morti o feriti, Cospito è in carcere da oltre 10 anni, avendo in precedenza scontato, senza soluzione di continuità, una condanna per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi. Dal 2016 è stato inserito nel circuito penitenziario di Alta Sicurezza 2, mantenendo, peraltro, condizioni di socialità all’interno dell’istituto e rapporti con l’esterno. Ciò sino al 4 maggio 2022, quando è stato sottoposto al regime previsto dall’art. 41 bis ordinamento penitenziario, con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza, diminuzione dell’aria a due ore trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti. Per protestare contro l’applicazione di tale regime e contro l’ergastolo ostativo, il 20 ottobre scorso Cospito ha iniziato uno sciopero della fame che si protrae tuttora con perdita di 35 chilogrammi di peso e preoccupante calo di potassio, necessario per il corretto funzionamento dei muscoli involontari tra cui il cuore. La situazione si fa ogni giorno più grave, e Cospito non intende sospendere lo sciopero, come ha dichiarato nell’ultima udienza davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma: «Sono condannato in un limbo senza fine, in attesa della fine dei miei giorni. Non ci sto e non mi arrendo. Continuerò il mio sciopero della fame per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro».

Tratto da Il Foglio The Lancet in allarme per l’eutanasia in Canada: anche la “bibbia” dell’establishment medico-scientifico denuncia la deriva della “dolce morte”. “Con l’aumento del numero di decessi in base alle disposizioni della legge sull’assistenza medica a morire, la sua imminente espansione includerà le persone con malattie mentali”, racconta la rivista. L’anno scorso, già tre esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno riferito che la legge canadese vìola la Dichiarazione universale dei diritti umani. Il Bill C-7 riconoscerà il diritto all’eutanasia non più soltanto ai malati terminali capaci di intendere e di volere, ma anche alle persone affette da demenza. “I futuri canadesi dovranno scusarsi per l’eutanasia ai disabili?”. L’editoriale è stato pubblicato due settimane fa dal Washington Post, un giornale non certo avvezzo alle guerre culturali. Tra il 2016 e il 2021, il personale medico  ha somministrato dosi letali a più di 31 mila persone che di solito, ma non sempre, erano malate terminali. Una inchiesta dell’Associated Press ha tirato fuori un audio in cui il direttore di un ospedale canadese dice a un paziente non terminale che la sua degenza in ospedale “ci costa 1.500 dollari al giorno” e che l’eutanasia sarebbe raccomandata. Dei 10 mila canadesi che hanno ricevuto l’eutanasia lo scorso anno, 1.740 soffrivano di solitudine, come si evince dal rapporto annuale del dipartimento della Salute. La “dolce morte” non era riservata soltanto ai malati terminali? Tim Stainton, direttore del Canadian Institute for Inclusion and Citizenship dell’Università della British Columbia, ha descritto la legge canadese come “probabilmente la più grande minaccia esistenziale per le persone disabili dai tempi del programma nazista nella Germania degli anni 30”. C’è più di un motivo per essere allarmati da questo piano inclinato.
Tratto da Futuro Quotidiano

Le mine Houthi hanno ucciso 3.673 civili, tra cui 647 bambini e 462 donne, e ferito 3.135 civili, tra cui 741 bambini e 362 donne

La Rete yemenita per i diritti e le libertà ha annunciato di aver documentato più di 127.000 violazioni commesse dalla milizia Houthi. Le vittime sono i civili yemeniti. Dal colpo di stato dei ribelli del settembre 2014, si sono contati più di 14 uccisioni. In un rapporto pubblicato in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani (10 dicembre), la Rete ha affermato che il suo team sul campo ha documentato circa (127.260) episodi di violazioni contro i civili in cui la milizia Houthi è stata coinvolta nel periodo dal 21 dicembre 2014 , al 30 giugno 2022. Ha aggiunto che le milizie hanno ucciso 14.557 civili, inclusi (3.618) bambini, inclusi (412) neonati e (1.974) donne, secondo il meccanismo di monitoraggio e documentazione effettuato dalla squadra sul campo della rete attraverso le visite civili della squadra. La milizia Houthi ha anche ferito 33.438 civili, tra cui 5.875 donne e 4.334 bambini.
Tratto da Il Manifesto  Il sito di Amnesty International si apre in questi giorni con i visi di sette giovani la cui vita è in pericolo solo perché «credono in un mondo più giusto». È il lancio della maratona Write for Rights, per «liberare subito» donne e uomini che «lottano per tutti», come l’artista cubano Luis Otero Alcántara, rinchiuso dal 2021 nel carcere di massima sicurezza di Guanajay in quanto dissidente, o della russa Aleksandra Skochilenko, anche lei artista, detenuta in attesa di processo da 9 mesi in condizioni terribili per un’azione di protesta contro la guerra in Ucraina, o Joanah, Netsai e Cecillia, donne che il regime dello Zimbabwe ha torturato terribilmente per il solo fatto di aver protestato. E ancora: Nasser Zefzafi, marocchino, torturato e condannato a 20 anni per aver criticato un’autorità religiosa, e l’iraniano Vahid Afkari, in carcere dalla manifestazione pacifica del 2018. Non a caso, l’organizzazione internazionale da luglio scorso è impegnata con la campagna «Proteggo la protesta». Perché, per chi esprime dissenso, è stato – come spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – «un anno nero».
Tratto da RaiNews, di Roberto Montoya

L'emblematica e controversa leader delle Madri di Plaza de Mayo affrontò la dittatura militare durante gli anni di piombo in Argentina. L'intervista a Leonardo Castillo

Si è spenta domenica scorsa all'età di 93 anni Hebe de Bonafini, presidente e fondatrice dell'Associazione Madri di Plaza de Mayo, con il fazzoletto bianco, protagonista centrale delle prime manifestazioni per i 30.000 detenuti-desaparecidos rapiti durante la dittatura militare tra il 1976 e il 1983, mantenendo l'impegno della lotta fino alla fine dei suoi giorni. Hebe María Pastor de Bonafini ha iniziato il suo lavoro come presidente dell'Associazione Madri di Plaza de Mayo nel 1979, dopo il rapimento e la scomparsa dei propri figli, in cui si è distinta per la lotta per i diritti umani, contro l'impunità dei colpevoli di crimini contro l'umanità, unitamente alla rivendicazione della militanza rivoluzionaria dei detenuti, dei desaparecidos e degli assassinati. Ha sempre detto di essere stata una normale casalinga, fino a quando la dittatura le ha tolto i due figli, fatto che l'ha trasformata in una grande combattente. Il presidente argentino Alberto Fernández ha decretato tre giorni di lutto nazionale alla "memoria" di Hebe, simbolo internazionale della lotta per i Diritti Umani, la ricerca della verità e della giustizia, che ha permesso di risalire all'identità di oltre 100 bambini sottratti a giovani madri, vittime di carcerazione, sparizione forzata ed esecuzioni extragiudiziali durante i sette anni della dittatura in Argentina. Bonafini era diventata un'icona della sinistra globale, i cui leader piangono oggi la sua scomparsa, ma anche per le sue espressioni di lode rivolte a personaggi della storia latinoamericana controversi come Che Guevara, Fidel Castro, e Hugo Chávez. I messaggi che esprimono le condoglianze per la morte dell’attivista argentina arrivano da tutte le parti, anche dai vescovi della Conferenza episcopale argentina (CEA). Anche Papa Francesco ricorda “l’audacia e il coraggio, in momenti in cui prevaleva il silenzio, che hanno contribuito a mantenere viva la ricerca della verità e della memoria”. Giovedì 24 novembre in Plaza de Mayo, nel luogo dove si svolge il tradizionale appuntamento dei desaparecidos, verranno sparse le ceneri di Hebe, come da sua volontà. Sarà un giorno di grande commemorazione e di mobilitazione in piazza. Abbiamo incontrato Leonardo Castillo, capo politico dell’Agenzia Télam, Argentina. Il presidente argentino Alberto Fernández ha decretato tre giorni di lutto nazionale alla "memoria" di Hebe de Bonafini, Presidente delle Madri di Plaza de Mayo, scomparsa domenica scorsa all'età di 93 anni. Che profilo può darci di lei? Hebe ha accompagnato l’esistenza di noi ultra quarantenni, e di oltre tre generazioni di argentini. È  stata fondamentale per la nostra educazione civica. Ha lottato per la memoria, la verità, la giustizia e per denunciare la dittatura. La sua integrazione nel movimento per i diritti umani ha affrontato la dittatura genocida. La sua impronta ha lasciato un segno nelle nostre generazioni. Abbiamo perso un riferimento politico e sociale di enorme importanza. Hebe soffrì molto per la scomparsa dei due figli nel 1977. Fu allora che si unì alla lotta delle madri di Plaza de Mayo, dove emerse come punto di riferimento, diventando poi leader del gruppo. Da allora ha rappresentato una figura fondamentale per il movimento dei diritti umani e per tutti coloro che si sono formati nel fervore di quella che fu la democrazia instauratasi nel dicembre 1983.
Tratto da lifegate, di Simone Santi  La Fifa alle federazioni che saranno ai Mondiali in Qatar: “Concentriamoci sul calcio”. Le europee rispondono: “Continueremo a sostenere i diritti umani”. “Per favore, concentriamoci sul calcio”. La Fifa ha chiesto ufficialmente alle federazioni delle 32 nazionali che parteciperanno ai Mondiali in Qatar al via il 20 novembre di non porre in atto iniziative di protesta e di critica nei confronti dell’emirato per il mancato rispetto dei diritti umani, in relazione o meno con l’organizzazione del torneo. Alcune federazioni europee però hanno risposto duramente: “Continueremo a batterci per i diritti umani”. E visto che l’ambasciatore dei Mondiali Khalid Salman ha ribadito che in Qatar l’omosessualità è considerata un disagio mentale, probabilmente ce n’è davvero bisogno.

Mesi di proteste in tutto il mondo 

Da mesi, se non da anni, i Mondiali in Qatar sono nel mirino delle associazioni che si battono per i diritti umani ed ambientali, e ultimamente anche alcune nazionali partecipanti hanno mostrato le loro rimostranze: la Danimarca giocherà con una maglia priva del nome dello sponsor tecnico, che non vuole prestare la propria immagine al torneo, e con un terza maglia completamente nera in segno di lutto per gli almeno 6.500 immigrati morti sul lavoro per realizzare le infrastrutture necessarie allo svolgimento dei Mondiali. Khaled al-Suwaidi, un membro anziano del comitato organizzatore della Coppa del Mondo del Qatar, ha risposto all’annuncio della Danimarca, dicendo che il Paese ha usato i Mondiali di calcio “come catalizzatore per guidare il cambiamento” e ha riformato le sue leggi sui lavoratori migranti. I calciatori della nazionale australiana hanno pubblicato un video in cui si critica il Qatar per le sue leggi in materia di diritti umani e chiedendo la depenalizzazione delle relazioni omosessuali, che sono severamente vietate in Qatar, ricevendo come risposta dagli organizzatori un messaggio che suona come un “nessuno è perfetto”.
Tratto da Amnesty International Amnesty International Italia si avvia a concludere il monitoraggio svolto per la sesta edizione del Barometro dell’odio, focalizzato sulla campagna elettorale in rete. Nell’ambito del progetto, i post Facebook e i tweet pubblicati a partire dal 22 agosto 2022 da una rosa di candidate e candidati sono analizzati, uno a uno, da una squadra composta da 60 attivisti e da alcuni esperti.