Tratto da Today di Eleonora Mureddu Mai come in questo caso l'espressione "urne deserte" ha poco di eufemistico: in Tunisia, appena l'8,8 per cento degli elettori si è recato al seggio per il rinnovo del Parlamento. Al voto, che si è tenuto sabato, ha partecipato meno di 1 avente diritto su 10. Otto anni fa, l'affluenza era stata del 68%. Nel 2019, l'ultima volta che si sono tenute le legislative, il dato era sceso al 40%. Una traiettoria discendente che è per molti osservatori il simbolo della crisi del Paese considerato fino a poco tempo (almeno dall'Ue e dall'Italia) il più avanzato sul fronte della democrazia nel Maghreb. Un riconoscimento che ha fatto il pari con una pioggia di fondi attivati da Bruxelles e da Roma, in particolare per la gestione dei flussi migratori e per sviluppare il potenziale energetico tunisino. Come i 600 milioni stanziati proprio in questi giorni per la costruzione di un cavo sottomarino che trasporterà energia elettrica tra la sponda nordafricana e la Sicilia.

Le elezioni farsa

L'Europa, dunque, continua ad avere fiducia nella Tunisia, a dispetto della organizzazioni internazionali per i diritti umani e dei partiti di opposizione tunisini. Il fiasco delle elezioni, del resto, era stato già ampiamente preventivato alla vigilia: la maggior parte dellle forze politiche del Paese avevano invitato a disertare le urne dopo l'appovazione di un legge di riforma costituzionale che ha privato il Parlamento di diversi poteri, tra cui quello fondamentale di eleggere il governo. E così, l'attuale capo di Stato, Kais Saied potrà crearsi un esecutivo senza dover passare dall'assemblea. Ecco perché la maggioranza dei partiti di opposizione ha deciso di non partecipare alle elezioni, sostenendo che gli emendamenti costituzionali, approvati da un basso numero di elettori tramite un referendum lo scorso luglio, non erano legittimi. Ahmed Nejib Chebbi, leader del Fronte di salvezza (composto da cinque partiti di opposizione), ha descritto la bassa affluenza alle urne come un "vero terremoto che avrà gravi conseguenze". Anche l'Union Générale Tunisienne du Travail, la principale federazione sindacale del Paese, ha contestato pubblicamente la legittimità delle elezioni.