Tratto da laRepubblica, di Benedetta Perilli La maggioranza ha votato sì al progetto di legge che consentirà il suicidio assistito. Sarà possibile soltanto per i maggiorenni, se il loro desiderio è "attuale e reiterato, serio, libero e informato". Ora spetta al presidente della Repubblica promulgare il testo Un dibattito parlamentare lungo almeno cinque anni e due veti presidenziali dopo, la legalizzazione dell'eutanasia in Portogallo è stata approvata oggi in Parlamento per la terza volta. Nonostante l'opposizione avesse chiesto la possibilità di sottoporre il tema a un referendum pubblico, è arrivata grazie alla maggioranza il sì a una legislazione che consentirà il suicidio medicalmente assistito in determinate circostanze. Ora spetta al presidente della Repubblica Rebelo de Sousa, conservatore e cattolico, promulgare il testo o rimetterlo all'esame della Corte costituzionale e mettere un veto, come ha già fatto due volte nel 2021. Si esprimerà prima di Natale, ha promesso. Secondo i sondaggi la legalizzazione dell'eutanasia sarebbe condivisa da oltre la metà dei cittadini portoghesi nonostante le forti resistenze della Chiesa in un Paese a maggioranza cattolica. Per i legislatori, che hanno lavorato alle modifiche del testo fino a poche ore prima dell'approvazione della versione finale di mercoledì scorso da parte della Comissão de Assuntos Constitucionais do Parlamento, l'eutanasia sarà possibile soltanto per le persone maggiorenni che manifestano un desiderio "attuale e reiterato, serio, libero e informato". Persone che inoltre devono trovarsi "in una situazione di sofferenza di grande intensità, con lesione definitiva di estrema gravità o malattia grave e inguaribile". Il testo base contiene il progetto di legge voluto dal Partito Socialista, che governa con la maggioranza assoluta, insieme a Iniziativa Liberale, Blocco di sinistra e gli ambientalisti di Pan e approvato lo scorso giugno dell'Assemblea. Contrari i partiti di estrema destra Chega e il Partito Comunista, astenuto il partito social-democratico del Psd che con il presidente Luís Montenegro presenterà un progetto per la richiesta di un referendum popolare.
Tratto da ilmanifesto, di Giulia D'Aleo SCUOLA. Tra le 50mila persone scese in piazza a Roma il 26 novembre accanto a Non Una di Meno c’erano anche attivisti e attiviste, operatori e operatrici di sportelli e rifugi […] Tra le 50mila persone scese in piazza a Roma il 26 novembre accanto a Non Una di Meno c’erano anche attivisti e attiviste, operatori e operatrici di sportelli e rifugi antiviolenza, associazioni e collettivi studenteschi. Realtà che, con possibilità e impegni diversi, si impegnano per prevenire e contrastare la violenza di genere. Tra questi attori, il grande assente è ancora la scuola. Nonostante le linee guida dell’Oms indichino che un’adeguata educazione sessuoaffettiva sia fondamentale nella prevenzione di abusi sessuali, violenza, episodi di omolesbotransbifobia – oltre che per la riduzione di gravidanze e aborti nelle adolescenti e per la diminuzione delle malattie sessualmente trasmissibili – in Italia non esiste ancora una legge nazionale che agisca in modo capillare e omogeneo sulla formazione a partire dall’infanzia.
Tratto da Il Manifesto  Il sito di Amnesty International si apre in questi giorni con i visi di sette giovani la cui vita è in pericolo solo perché «credono in un mondo più giusto». È il lancio della maratona Write for Rights, per «liberare subito» donne e uomini che «lottano per tutti», come l’artista cubano Luis Otero Alcántara, rinchiuso dal 2021 nel carcere di massima sicurezza di Guanajay in quanto dissidente, o della russa Aleksandra Skochilenko, anche lei artista, detenuta in attesa di processo da 9 mesi in condizioni terribili per un’azione di protesta contro la guerra in Ucraina, o Joanah, Netsai e Cecillia, donne che il regime dello Zimbabwe ha torturato terribilmente per il solo fatto di aver protestato. E ancora: Nasser Zefzafi, marocchino, torturato e condannato a 20 anni per aver criticato un’autorità religiosa, e l’iraniano Vahid Afkari, in carcere dalla manifestazione pacifica del 2018. Non a caso, l’organizzazione internazionale da luglio scorso è impegnata con la campagna «Proteggo la protesta». Perché, per chi esprime dissenso, è stato – come spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – «un anno nero».