Metropoli in crisi climatica, così Parigi affronta i 50 gradi: cosa possiamo imparare
Sapevate che sotto il Louvre si nasconde un grande tesoro in tempi di crisi climatica? Parigi ha una rete di “frighi...
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Tratto da Ansa
Lo scontro sull'utero in affitto incendia anche il Roma Pride.
La sfilata dell'orgoglio Lgbtqi+ in programma il 10 giugno per le vie della Capitale è segnata dalla decisione della Regione Lazio di revocare il patrocinio all'evento.
Giovanna Cristina Vivinetto ha ricevuto un risarcimento di 11 mila euro. Condannato l’istituto Kennedy di Roma.
Giovanna Cristina Vivinetto è stata allontanata nel 2019 dall’istituto paritario Kennedy di Roma per la sua condizione di transessuale. Ora la scuola dovrà risarcirla con 11 mila euro. Vivinetto racconta oggi in un’intervista a Il Messaggero di aver cominciato a lavorare il 23 settembre del 2019: «Sono stata licenziata il 14 ottobre. Praticamente sono stata in classe una decina di giorni in tutto. Dopo tre giorni di malattia, la preside mi ha convocata e mi ha detto che dovevo andar via perché mancavo di professionalità». Poi ha capito di essere stata discriminata in quanto transessuale. «La scuola sapeva della mia situazione. Anche perché nel curriculum era riportato il premio letterario che ho vinto. E lì parlavo proprio di questo. Sapevano tutto anche prima di assumermi. Qualcuno deve essersi lamentato e mi hanno licenziata». Ma la sua carriera come insegnante non si è conclusa: «Dopo il licenziamento nella scuola paritaria ho insegnato in due scuole pubbliche. Una media e una superiore di Roma. Mi hanno accolta senza alcun problema e con la massima discrezione. A settembre scorso sono entrata di ruolo. Sto facendo l’anno di prova come docente specializzata sul sostegno. Per me è un’esperienza bellissima. Voglio restare al fianco delle persone con difficoltà e tenterò anche il concorso per diventare preside». Mentre la sua famiglia «è sempre stata molto aperta. Ho un fratello gemello e siamo stati liberi di esprimerci. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta permettendomi di realizzarmi. La prima vera discriminazione l’ho subita in una scuola, ma quando ero già una professoressa».
Ieri sull’A1 si è assistito, tra teppisti del Napoli e della Roma, a una follia che rappresenta però anche un caso limite: lo dimostra la quasi totale scomparsa di scontri fra ultras all’interno degli stadi, dove le misure adottate negli ultimi anni funzionano.
Una coda di 15 chilometri sull’arteria autostradale più importante del Paese piacevole non è, soprattutto per chi ci capita in mezzo. E fa ribollire il sangue sapere che si è rimasti fermi perché due opposte bande di delinquenti, sconsiderati, pseudotifosi, o comunque li si voglia chiamare, hanno deciso di approfittare del campo neutro autostradale per consumare scontri altrimenti impossibili nel contesto “d’elezione”, lo stadio. Ma è proprio quest’ultimo dettaglio a meritare una riflessione.
Gli ultras, i cosiddetti ultras, in particolare quelli di Napoli e Roma che ieri si sono scontrati fra l’area di servizio Badia al Pino e la carreggiata dell’A1, da molti anni non trovano più l’occasione di entrare in contatto nella cornice legata alle partite. È dal 2014, per la precisione, dal tragico sparo con cui un supporter giallorosso, Daniele De Santis colpì il partenopeo Ciro Esposito, morto dopo 50 giorni di agonia: da allora gli incontri fra azzurri e giallorossi vengono disputati in modo che le frange estreme delle due tifoserie non possano guardarsi neppure da lontano. Molto semplicemente, le trasferte di romanisti a Napoli e napoletani a Roma sono precluse in modo assoluto a chi risieda, rispettivamente, nel Lazio e in Campania. E la misura ha perfettamente funzionato: perché i gruppi ultras sono radicati essenzialmente nelle regioni, se non proprio nelle aree metropolitane, della squadra di riferimento. Se è certo per esempio che il Napoli gode di un seguito di tifosi molto vasto anche in altre parti del Paese, soprattutto al Nord, è vero pure che il cosiddetto tifo militante, o violento, non è in grado di organizzarsi lontano dalla città dove ha sede la squadra, lontano da Napoli nel caso specifico. E così, la consueta presenza, nelle trasferte del Napoli a Roma, di partenopei che risiedono in Emilia o in Lombardia non ha mai prodotto, in questi otto anni, il benché minimo problema di ordine pubblico. Esattamente come nell’ultimo Napoli-Roma giocato a Fuorigrotta, nell’aprile dell’anno scorso, quando presero posto nel settore ospiti loro assegnato alcune decine di fan giallorossi, tutti con tessera del tifoso, nessuno dei quali residente nel Lazio. Erano romanisti di Napoli e di altre città della Campania, dove il club della Capitale ha sempre goduto di un qualche seguito. Nessun incidente, nessun tentativo di guerriglia fra bande rivali.