Tratto da Riforma.it di Peter Ciaccio

In tempo per il XVII Febbraio è uscita per Netflix una serie tv che oscilla tra il legal e il crime, con protagonista una delle personalità più importanti della storia valdese, una donna che lottato per i diritti di tutti e tutte. La legge di Lidia Poët [pronunciato Pòet, sic] pare prendere, però, solo pochi elementi dalla storia: qualche nome, l’ambientazione torinese e due eventi biografici, cioè la cancellazione di Poët dall’albo l’11 novembre 1883, appena tre mesi dalla storica iscrizione quale prima avvocata, e il rigetto del ricorso da parte della Cassazione il 18 aprile 1884. Tutto, ma proprio tutto, il resto è frutto di invenzione. Pertanto non si può parlare di un’opera biografica. La scelta degli autori di omettere due informazioni importanti e potenzialmente gustose per il pubblico, quali il suo essere valdese e montanara, è di difficile comprensione. Di solito, i personaggi più caratterizzati sono quelli in cui è più facile identificarsi: quanti maschietti di città si sono commossi di fronte ai sentimenti della piccola Heidi?

Tratto da La Stampa. Guarda il video!

«Io da qualche parte penso di essere una donna di merda perché non so cucinare, perché non mi sono sposata e perché non ho avuto figli. Razionalmente so che va bene così, ma da qualche parte, dentro di me, c'è questa voce, esiste, e io, alla fine, penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata». Chiara Francini porta sul palco del Teatro Ariston, a tarda notte, tutti i dilemmi della maternità mancata (finora). «Arriva un momento della vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio», esordisce.

Tratto da Il fatto quotidiano

È il primo caso in italia. Grazie a una delibera approvata dal consiglio dell’Ordine degli Architetti, a Bergamo è possibile richiedere il timbro professionale con la dicitura di “architetta“, al femminile. La richiesta era partita dall’architetta Silvia Vitali, sostenuta dalle colleghe Francesca Perani e Mariacristina Brembilla. Vitali spiega che, con la sua decisione, l’Ordine aderisce “a una visione meno sessista, condivisa ormai da numerosi settori della società, dalle istituzioni di numerosi paesi europei nonché recentemente dall’Accademia della Crusca. Una visione – continua Vitali – dove la donna non rimane più nascosta all’interno del genere grammaticale maschile”.

Tratto da Cultura al Femminile di Veronica Sicari

Di cosa parla Da che parte stiamo. La classe conta? 

Da che parte stiamo. La classe conta rappresenta un ulteriore tassello per ricostruire l’interessante percorso di studi di Bell Hooks, intellettuale e teorica femminista afroamericana, autrice di testi quali Elogio del margine/ scrivere al buio e Il femminismo è per tutti. 

Attenta osservatrice e pensatrice, bell hooks – pseudonimo di Gloria Jean Watkins – analizza la società nella quale ha vissuto attraverso la lente femminista.

Da che parte stiamo. La classe conta si inserisce nel solco del dibattito della cosiddetta quarta ondata femminista, ed in particolare in quella che viene definita corrente intersezionale, che analizza la triplice matrice della repressione patriarcale: sesso, razza e classe.

Tratto da Il Gazzettino

Nella rivista medica si propone il concetto di utilizzare l'intero corpo di donne vegetative come surrogati per "futuri genitori che desiderano avere figli ma non possono o preferiscono non gestare".

Un invito che ha indignato la comunità scientifica. È la proposta di una professoressa norvegese: usare i corpi delle donne morte clinicamente per la maternità surrogata. L'articolo è apparso sulla rivista di medicina bioetica Journal of Theoretical Medicine and Bioethics e sta suscitando la reazione fuoriosa da parte di molte donne sui social media.

Tratto da L'Essenziale di Annalisa Camilli

All’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza, in Calabria, i ginecologi sono tutti obiettori di coscienza. Nell’ospedale calabrese l’interruzione di gravidanza è possibile solo due volte alla settimana quando è presente il medico “a gettone” che pratica l’ivg. “A più di sei mesi dalle dimissioni dell’unico ginecologo non obiettore dell’Annunziata, il servizio è ancora carente e procede a singhiozzo”, spiegano le attiviste del collettivo cosentino Fem.In che a dicembre hanno incontrato la direttrice amministrativa dell’ospedale, ottenendo la promessa di stipulare una convenzione per avere altri due medici a contratto e garantire il servizio sul territorio.

Ma “questo a oggi non si è ancora verificato e a svolgere il servizio c’è un solo medico”, scrivono le attiviste sulla loro pagina Facebook. Sul caso ha presentato un’interrogazione parlamentare la deputata Anna Laura Orrico, il 18 gennaio.
Tratto da MicroMega di Giuliana Sgrena

Celebrare l’International hijab day mentre le donne iraniane – e non solo le donne – mettono a rischio la loro vita per eliminare il chador è una sconfitta culturale e politica di chi, in occidente, sostiene di difendere i diritti delle donne. Paradossalmente in occidente si difende il diritto di portare il velo mentre nei paesi musulmani le donne lottano per il diritto a non portarlo.

Tratto da ONU Italia

Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) riguardano tutti quei procedimenti che coinvolgono la rimozione, totale o parziale, degli organi genitali femminili esterni. Questa pratica non viene applicata per scopi di natura medica, bensì per motivi culturali. Sono numerose le complicazioni, a breve e lungo termine, sulla salute di coloro che sono soggette a questa usanza. Tra le peggiori, vi è la morte. Sebbene le MGF siano riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica prima del 2030.

La problematica delle MGF, sebbene diffusa principalmente in 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, è universale. Infatti, questa usanza è comune anche in alcuni Paesi dell’America Latina e dell’Asia. Non sono da escludere, inoltre, l’Europa occidentale, l’America del Nord, l’Australia e la Nuova Zelanda dove le famiglie immigrate continuano a rispettare questa tradizione.

Tratto da ANSA di Luca Ferrero

Maggioranza e opposizione votano quasi all'unanimità: il governo dovrà "astenersi dall'intraprendere iniziative di carattere anche normativo volte a eliminare o limitare il sistema di tutele garantito dalla legge 194".

Questo il contenuto dell'Ordine del giorno presentato a Montecitorio dal Movimento 5 stelle sulla proposta di legge per l'istituzione della Commissione bicamerale sul femminicidio.

L'Aula della Camera non ha manifestato tentennamenti: l'Odg è stato approvato con 257 sì, nessun voto contrario e tre astenuti. Per iniziativa del Parlamento, dunque, il Governo Meloni, che ha dato il suo via libera dopo una riformulazione più asciutta del testo, risulta impegnato a non toccare la legge vigente in materia d'aborto, la numero 194 del 1978.

Tratto da Il Messaggero

Sui social tantissime donne hanno raccontato la loro esperienza, definendo una "violenza ostetrica" il fatto di essere costrette ad andare oltre le loro possibilità per mancanza di aiuto.

«Non devi lamentarti, è tuo figlio. Sai quante ore senza sonno ancora avrai davanti?». E ancora: «Devi sforzarti, non puoi chiamare per queste cose, ora sei una mamma». Già una mamma. Come lo era la donna di  30 anni che  qualche giorno fa ha partorito il suo primo figlio all'ospedale Sandro Pertini di Roma. Emozionata ma stanca, dopo 17 ore di parto, si è addormentata con il suo piccolo tra le braccia e l'ha soffocato. La donna era sul letto con il neonato  che sarebbe dovuto essere rimesso in culla dopo l'allattamento, ma le cose non sono andate così. Ora quella mamma, "colpevole" di essere stremata da un lungo travaglio iniziato in piena notte e da un parto, ha perso il suo neonato a soli 3 giorni di vita. Ma la sua storia è quella di tante altre donne che sul web hanno condiviso le loro esperienze. Moltissime potevano essere lei, moltissime hanno rischiato la stessa tragedia lamentando che qualcosa sarebbe dovuto cambiare: «Se ad altre mamme non è capitato, è solo perché noi siamo state fortunate».

Tratto da ValigiaBlu di Alessandra Vescio

Per uno studio sull’impatto che gli stereotipi di genere hanno sulla percezione del dolore, un gruppo di ricerca ha messo in atto due esperimenti. Nel primo, cinquanta partecipanti hanno guardato video di espressioni facciali di pazienti, uomini e donne, con infortuni alle spalle e differenti gradi di dolore, mentre svolgevano alcuni movimenti. Ai partecipanti è stato chiesto di valutare il livello di dolore che secondo loro i pazienti stavano provando su una scala da 0 a 100. Al secondo esperimento hanno partecipato 200 persone che, dopo aver visto i video, hanno risposto a una serie di domande sul tipo di trattamento consigliato ai singoli pazienti, tra cure contro il dolore e psicoterapia, e su come secondo loro uomini e donne manifestino e sopportino diversamente il dolore. I risultati, pubblicati su The Journal of Pain a marzo 2021, dimostrano come vi sia un vero e proprio pregiudizio nei confronti del dolore delle donne. A molte più pazienti donne che uomini infatti è stata consigliata la psicoterapia invece di una cura di contrasto al dolore, e il dolore stesso delle donne è stato anche percepito tendenzialmente come meno intenso rispetto a quello mostrato dai pazienti uomini.

Tratto da IlDubbio di Simona Giannetti

Ma io dico: quel velo in Iran è simbolo di una dittatura che uccide e tortura.

Quella del magistrato libero da simboli è una neutralità manifesta, che tutela chiunque gli si presenti innanzi per essere giudicato. È di questi giorni la notizia ripresa anche sulle pagine de Il Dubbio di una giovane donna, di origini arabe, che ha raccontato, come un suo sogno che si avvera, quello di diventare la prima “magistrata velata” in un’aula di giustizia. E’ chiaro che si deve fin da subito sgombrare il campo dall’ovvietà del diritto di ciascuno e di ciascuna di scegliere come vestirsi e se indossare o meno simboli di carattere politico o anche religioso.