Tratto da Il Manifesto di Eleonora Martini L’Italia, l’Ungheria e la Polonia sono le pecore nere dell’Europa riguardo ai diritti e al rispetto delle persone Lgbtqi. O meglio: lo sono i loro «influenti leader politici e governi» attuali, che diffondono la «retorica anti-diritti, anti-gender e anti-Lgbtiq». Il Parlamento europeo in seduta plenaria, ieri a Strasburgo, lo ha scritto nero su bianco in un emendamento presentato dai Verdi alla risoluzione per la depenalizzazione universale dell’omosessualità, varata alla luce dei recenti sviluppi in Uganda.
Tratto da Il Manifesto, di Emanuele Giordana   La giustizia di Kiev ha rinviato il processo a Ruslan Kotsaba previsto per oggi mentre il suo avvocato ha deciso di presentare una petizione perché venga sospeso. Se non venisse accolta, Ruslan dovrà presentarsi benché abbia chiesto una sessione online poiché quelle in presenza sono a rischio di interventi violenti da parte di chi considera la gente come lui una macchia per la Patria. Ruslan, un giornalista ucraino pacifista e obiettore di coscienza, ha 49 anni e ne rischia 15 anni di galera perché la giustizia ucraina lo accusa di «alto tradimento» per alcune dichiarazioni contrarie alla leva militare durante la «guerra civile fratricida del Donbass». Il suo è diventato un caso simbolo entrato a far parte del dibattito che riguarda il diritto a essere obiettori di coscienza e dunque alla scelta di non voler entrare nella logica della guerra. È una posizione scomoda. E lo è due volte se si è ucraini.